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Delle vostre mani e della menzogna | Adriana @Lilithins | #respiropoetico

Adriana legge Nâzım Hikmet

Delle vostre mani e della menzogna

Le vostre mani dure come pietre

tristi come arie cantate nel carcere

grosse e lente come bestie da soma,

mi ricordano i visi dei ragazzi affamati.

Le vostre mani lievi, leste come api,

pesanti come mammelle piene di latte,

audaci come la vita che cresce,

sotto la loro pelle rozza

hanno la tenerezza d’una stretta di mano amica.

No, questo mondo non sta sulle corna di un toro,

questo mondo è piantato sulle vostre mani onnipotenti.

Uomini, ah uomini miei,

vi nutrono di false chiacchiere,

mentre avete bisogno di pane e di carne

per domare i crampi della fame.

Voi lasciate questo mondo, dove ogni ramo

si piega sotto il peso dei frutti,

senza esservi tolta una sola volta la fame.

Uomini, ah uomini miei

in Africa e in Asia dovunque,

nel vicino e nel lontano Oriente

fino alle onde del Pacifico,

tutti i paesi miei,

più del settanta per cento

della gente del pianeta,

siete vecchi e distratti, come le vostre mani,

siete magnifici e forti.

Uomini, ah uomini miei,

fratello mio d’America e d’Europa,

sei come le tue mani, smemorato e irrequieto

come il mercurio.

Sta’ all’erta!

Con menzogne bavose ti lusingano,

e così facilmente

possono averti nel sacco.

Uomini, ah! uomini miei,

se le antenne vi mentono a ogni istante,

se mentono le rotative,

se vi mentono i libri, di copertina in copertina,

e i manifesti sui muri

e gli annunzi sulle colonne,

se dagli schermi bianchi vi mentono

le gambe nude delle ragazze,

se le preghiere vi mentono

e le ninne nanne

e i sogni,

se nei cabaret mente il violino

e il violinista,

se vi mentono le voci

che suadenti sussurrano – taci! –

se le parole e i colori vi mentono,

se tutto ciò, che dipende dalle vostre mani,

mente,

tutto,

fuorché le vostre mani,

se tutti vi mentono inventando fandonie,

se tutto e tutti con protervia vi mentono,

allora sappiate che questo

è perché restino cieche le vostre mani, come le tenebre

ubbidienti come cani da guardia cedevoli come l’argilla,

è perché non si ribellino, le vostre mani,

è perché in questo mondo mortifero,

dove tanto si desidera vivere

e dove voi troppo vivete penosamente,

le vostre mani possano

senza fine servire

l’oppressione e la schiavitù.

Arrivederci fratello mare

1951

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti

arrivederci fratello mare

mi porto un po’ della tua ghiaia

un po’ del tuo sale

un po’ della tua infinità

e un pochino della tua luce

e della tua infelicità.

Ci hai saputo dire molte cose

sul tuo destino di mare

eccoci con un po’ più di speranza

eccoci con un po’ più di saggezza

e ce ne andiamo come siamo venuti

arrivederci fratello mare.

Non è un cuore

Varna, 1952

Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo

che cammina, incessantemente, cammina

senza lacerarsi

va avanti

su sentieri pietrosi.

Una barca passa davanti a Varna

“Ohilà, figli d’argento del Mar Nero!”

una barca scivola verso il Bosforo,

Nazim dolcemente carezza la barca

e si brucia le mani.

A Varna, dal balcone…

1957

A Varna, dal balcone dell’albergo, guardo:

la strada, gli alberi

dopo gli alberi, sabbia,

e oltre, dev’essere il cielo e il mare,

no,

né cielo né mare

dopo la sabbia viene la luce nuda

la luce senza fine…

E nell’aria un profumo di rose

che prende alla gola.

Non vedo le rose

ma dall’odore

s’indovinano enormi

tutte rosse…

I turisti polacchi scendono verso la spiaggia

biondi, rosati e nudi.

Sopra di me, una rondine gira in tondo

le ali son nere, il petto bianco.

Non ha niente dell’ape, eppure

Somiglia a un’ape.

Sparisce, riappare

scende, s’innalza stridendo

ebbra del suo garrire…

Dello yogurt nella tazza azzurra

Mi han portato dei pani al formaggio

  • mi credevo a Istanbul –

dei pani al formaggio

tempestati di sesamo, caldi dal forno.

A Varna, in questo giorno

d’estate

del poeta bandito

e molto ammalato

lontano da tutte le grandi parole

una fortuna – vivere…

Ore di Praga

1957

A Praga mentre biancheggia l’alba

la neve cade

liquida

plumbea.

A Praga pian piano il barocco appare

agitato, lontano,

le dorature annerite

di tristezza.

Sul ponte Carlo quarto, le statue,

sono uccelli venuti

da un pianeta morto.

A Praga il primo tram ha lasciato il deposito,

coi vetri illuminati, gialli, caldi.

Ma io so,

che dentro ci fa un freddo glaciale

il fiato

del primo viaggiatore non l’ha scaldato ancora.

A Praga, Pepih beve il suo caffellatte

nella cucina bianca, la tavola di legno è ben pulita…

A Praga mentre biancheggia l’alba

la neve cade

liquida

plumbea.

A Praga passa una vettura

una carretta tirata da un solo cavallo

davanti al cimitero ebreo.

La carretta è carica di nostalgia

d’un’altra città

e il carrettiere sono io…

A Praga pian piano il barocco appare

agitato, lontano,

le dorature annerite

di tristezza.

A Praga nel cimitero ebreo silenziosa,

muta, la morte…

Ah, mio amore, mio amore

l’esilio è peggio della morte.

Finché ancora tempo

1958

Finché ancora tempo, mio amore,

e prima che bruci Parigi,

finché ancora tempo, mio amore

finché il mio cuore è sul suo ramo

vorrei una notte di maggio

una di queste notti

sul lungosenna Voltaire

baciarti sulla bocca

e andando poi a Notre-Dame

contempleremmo il suo rosone

e a un tratto serrandoti a me

di gioia, paura e stupore

piangeresti silenziosamente

e le stelle piangerebbero

mischiate alla pioggia fine.

Finché ancora tempo, mio amore,

e prima che bruci Parigi

finché ancora tempo, mio amore,

finché il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio sul lungosenna

sotto i salici con te, mia rosa

sotto i salici piangenti molli di pioggia

ti direi due parole le più ripetute a Parigi

le più ripetute le più sincere

scoppierei di felicità

fischietterei una canzone

e crederemmo negli uomini.

In alto le case di pietra

senza incavi né gobbe

appiccicate

coi loro muri al chiar di luna

le loro finestre dritte che dormono in piedi

e sulla riva di fronte il Louvre

illuminato dai proiettori

illuminato da noi due

il nostro splendido palazzo

di cristallo

Finché ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finché ancora tempo, mio amore,

finché il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi

ci siederemmo sui barili rossi

di fronte al fiume scuro della notte

per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa

  • verso il Belgio o verso l’Olanda? –

davanti alla cabina una donna

con un grembiule bianco

sorride dolcemente

Finché ancora tempo, mio amore

e prima che bruci Parigi

finché ancora tempo, mio amore.

Il mio funerale

1963

Il mio funerale partirà dal nostro cortile?

Come mi farete scendere giù dal terzo piano?

La bara nell’ascensore non c’entra

e la scala è tanto stretta.

Il cortile sarà, forse, pieno di sole, di piccioni

forse nevicherà, i bambini giocheranno strillando

forse sull’asfalto bagnato cadrà la pioggia

e al solito ci saranno i bidoni per la spazzatura.

Se mi tiran su nel furgone col viso scoperto, come usa qui,

forse mi cadrà in fronte qualcosa di un piccione, porta fortuna,

che ci sia o no la fanfara, i bambini accorreranno

i bambini sono sempre curiosi dei morti.

La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo sguardo

il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso.

Sono stato felice in questo cortile, pienamente felice.

Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a tutti.

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