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Fronte Popolare | Il sovranismo e la rinnovata passione politica | Martina Carletti

Il sovranismo e la rinnovata passione politica

“I socialisti dell’epoca, Turati, Treves, erano degli sconfitti. Erano della gente che non sapeva far altro che aspettare l’indomani che la tempesta sarebbe passata da sola. Viceversa, fuori da quell’ambiente c’erano delle personalità, come Rosselli, Nenni, Salvemini – iniziatore del primo giornale clandestino dell’epoca, il “Non mollare!” – che avevano fiducia nel fatto che in qualsiasi situazione si può sempre lottare, che esiste sempre una possibilità di farsi sentire. Uno dei motti che facemmo nostri fu: “ci han tolto il diritto di parlare, ce lo prendiamo!”: non cederemo mai, non saremo mai della gente che lascia che il fascismo vada avanti per la sua strada.” Queste le parole che Lelio Basso pronuncia, in un famoso filmato d’epoca, rispetto al periodo di clandestinità vissuto da lui e dalla sua stessa famiglia, moglie e tre figli al seguito. Mi stupisco ogni volta, nell’ascoltare quelle parole, così prive di paura: non è forse questa, la cifra della nostra epoca? Quella paura atavica, generalizzata, di perdere tutto. Paura di fronte alla quale siamo spogliati di qualsiasi capacità di reagire: la paura di perdere il lavoro, la casa, paura che il nostro mondo venga distrutto.
Eppure, la lezione più grande per uscire da questa gabbia è alle nostre spalle, nell’esempio di quegli uomini che, in una lotta ventennale ma in realtà umanamente infinita, per mezzo di quella “democrazia necessitata” hanno reciso l’angoscia donandoci un orizzonte politico tutto da riscoprire ed amare, ancora oggi.
Nella epocale ribellione contro la sottrazione di democrazia, solidarietà, sovranità che unisce noi e i nostri destini, il sovranismo rappresenta il risveglio dei popoli, la difesa di una istanza di autodeterminazione politica ed economica che non può prescindere dal ripristino dei corretti meccanismi di partecipazione democratica alla vita politica: l’uscita dall’austerità, dalla deflazione, dalla depressione, dalla gabbia di Bruxelles, è solo il primo passo di un lungo cammino in divenire, e sarà possibile solo grazie al risveglio di quei popoli che troppo a lungo hanno rinunciato ad essere tali.
La “seconda Repubblica” – da Maastricht in poi – dovrebbe per questo essere considerata il secondo ventennio in cui l’Italia ha visto la democrazia essere esautorata e sospesa. Ogni aspetto di quest’ultima – il bipolarismo, le “riforme”, il berlusconismo, l’Ulivo e poi il PD, l’eurofederalismo, la narrazione contro i partiti e contro tutte le istituzioni della rappresentanza popolare, la distruzione dei corpi sociali, la campagna volta a identificare la spesa pubblica come “spreco” – sono state tutte espressioni ideologiche della classe dominante volte all’eversione costituzionale, all’esautoramento della sovranità popolare e, sul piano pratico, determinanti uno spaventoso salto all’indietro verso un sistema sempre più privo di welfare state, sempre più privo di rappresentanza popolare, sempre più privo di garanzie costituzionali.
Il caso Brexit ed, in ultimo, le rivolte dei gilet gialli in Francia, hanno dimostrato come, da un lato, l’uscita dalla gabbia europea rappresenti, finanche per un paese centrale come la Gran Bretagna, un processo complesso, contraddittorio e tutt’altro che immediato; dall’altro, proteste di piazza prive di una connessione sostanziale con una organizzazione radicale ed ampia che faccia riferimento a partiti, sindacati, organizzazioni collettive, vengono violentemente represse rischiando di disperdere le sue forze propulsive di protesta e potenziale cambiamento del sistema politico.
In seno all’Italia esistono oggi, come da sempre la nostra storia esemplifica ed ha dimostrato, energie e vitalità per ripartire dalla filosofia della praxis di Gramsci, una filosofia civile per tutti, perché tutti sono intellettuali dal momento che provengono da un determinato ambito geografico e culturale sedimentato storicamente, e da una specifica cultura del lavoro, che si cerca di compenetrare con la vita per essere uomini e dirigenti sempre, consapevoli del proprio posto nel mondo, mai più alienati ed estranei alla storia, alla politica, allo Stato. La rappresentanza ha a che fare dunque con le culture, i territori, le sensibilità. Promuove la partecipazione, che non è solo elettorale, ma partecipazione alla cultura della nazione che sale dai mille campanili italiani, dalle culture materiali di artigiani, contadini, pescatori e operai, dalle grandi cattedre dell’idealismo meridionale, dal sentimento popolare di milioni di semplici, dall’individualismo temperato della borghesia virtuosa, dall’entusiasmo e dalla voglia di riscatto dei tanti giovani resistenti italiani emigrati e non, dal dolore per i caduti liberatori che alta testimonianza dell’impegno disinteressato lasciarono a un paese distrutto materialmente dalla guerra e moralmente dal fascismo. Ed è da questo impegno per la ricostruzione che, umilmente, parte il nostro progetto di creazione di una frazione della futura alleanza sovranista: un fronte comune di italiani che non hanno ceduto alla miseria di quest’epoca, che sono vivi e dunque considerano affare proprio, affare del popolo, interesse di ogni classe sociale, la volontà di riportare la Costituzione sopra tutto.

Martina Carletti

@martinacarletti

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