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L’uomo che sorrideva di Henning Mankell

Articolo di Carlo Amedeo Coletta

Ho letto: L’uomo che sorrideva
Autore: Henning Mankell
Vi racconto solo una cosa che, se siete appassionati di polizieschi, thriller e noir, dovrebbe condurvi alla libreria più vicina a casa vostra, minacciando con una pistola il commesso se non vi consegnasse immediatamente questo libro pochi secondi dopo il vostro ingresso. Sapete come inizia? In poche pagine, quel gran genio di Henning Mankell spazzerà via gli occhietti a mezz’asta con cui avete iniziato a leggere prima di mettervi a dormire.
Svezia, notte, un uomo anziano guida nella fitta nebbia della Scania. Ha paura anche se non è sicuro di doverne avere. Ha avuto una lunga riunione fino a pochi minuti prima. E’ stanco, guida e c’è tanta nebbia. E ha paura perché è un avvocato e quella riunione non era con persone buone. I potenti non lo sono quasi mai se non quando decidono di esserlo. E mentre guida, di notte, nella nebbia, con paura, in una lunga strada deserta, un’auto lo sorpassa. Quasi non aveva visto arrivare i fari per quanta nebbia c’è. E la paura cresce ma i fanalini rossi dell’auto che adesso ha di fronte, velocemente, si allontanano fino a scomparire. E poi, all’improvviso, davanti a sé, nella nebbia in mezzo alla strada, c’è una sedia, uno sgabello anzi, con sopra un manichino bianco. O forse è una persona. – Ho paura – si dice. E scende a controllare, pensando di avere la sensazione di essere su un palcoscenico in attesa che un attore compaia e dica qualcosa. Perché quello sgabello, quel manichino, sono lì per lui. Lo sa. E non sa nient’altro. E’ il suo ultimo pensiero prima del colpo che lo porta via.
Bene, non sono Mankell, lo avrete notato, ma il solo riportare con parole mie ciò che ho letto nelle prime tre pagine di libro, mi da un po’ di brividi. E se a voi non sono venuti è unicamente perché scrivo come un cane ubriaco. Leggendo il libro, invece, sentirete persino l’umidità della notte, il freddo della nebbia, l’oscurità che vi avvolge e il cuore che batte all’unisono con quello del guidatore. Tre pagine, sono solo tre pagine.
Quando iniziai a leggere rimasi entusiasta. Il proseguo non è da meno anche se chi conosce Mankell e il suo personaggio preferito, Wallander, sa bene che la parte introspettiva e la ricerca del senso dell’animo umano hanno lo stesso spazio e lo stesso valore dell’azione propria di questo genere di opere. E’ un poliziesco pieno di riflessioni, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Su come sia possibile chiudere una pagina della propria esistenza senza avere la forza, talvolta la voglia, di scriverne una nuova, rimanendo lì, in un limbo, con la penna a sfera in mano e un foglio bianco davanti, con il tempo che passa e non torna più. E’ un libro che, durante un’inchiesta e un’indagine aggrovigliata e pericolosa, lascia riflettere sul senso della distanza tra le persone. Lascia parlare il cuore, spesso, Wallander, almeno quando è solo con se stesso o con quello smemorato di suo padre, pittore di fama che ha sempre e solo disegnato tramonti sul lago, sempre uguali, alcuni però con un gallo cedrone su un albero, altri senza. Uno di quei genitori che ha cresciuto il figlio utilizzando solo la leva dei sensi di colpa, tracciando un solco importante tra loro, difficile da riempire nonostante gli sforzi e l’età.
C’è tanta nebbia in questo libro. In alcuni momenti è un personaggio, quasi una creatura viva che ha il potere di celare e nascondere, sì, ma anche attutire, mitigare. Ci si può nascondere, nella nebbia. Si può urlare, nella nebbia, senza che qualcuno ci senta. In questo libro, a tratti, è l’incarnazione dell’ipocrisia umana, l’emblema delle apparenze con le quali ci mostriamo per quel che non siamo ma vogliamo dare a vedere, nascondendo così ciò che di più umano ci caratterizza.
Sarà un’indagine amara per Wallader, sempre più convinto di essere nel posto sbagliato, in una Svezia ormai sbagliata, di fronte a cambiamenti tanto repentini quanto inspiegabili e difficili da accettare per chi non li vive in prima persona ma li subisce, dovendone poi raccogliere i cocci in qualità di poliziotto. Ed è un cuore molto più fragile della mente quello di Wallander, così diviso tra ciò che era un tempo e la solitudine che ogni sera lo aspetta a casa, nel suo piccolo appartamento alla periferia di Ystad.

Quanta serietà in queste parole. Non sembrano neanche mie. Sarà colpa della nebbia, non so.
Iniziate a leggere questo libro, ve lo consiglio. E’ la quarta indagine del commissario Wallader. Non è il mio preferito, lo ammetto e ve lo confesso, solo perché il finale non è esattamente come lo avrei scritto io, però. L’uva è ancora acerba, disse la volpe. E probabilmente, se sapessi scrivere così bene come Mankell, amerei questo libro ancor di più.
Buona lettura!

 

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