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đź”´ La divina commedia | Inferno XVI | Silvana Torto legge Dante Alighieri | Divini Canti

Dante e Virgilio stanno ancora attraversando il deserto del terzo girone. Camminano sempre sull’argine del Flegetonte per ripararsi dalla neve di fuoco a cui sono esposti i peccatori costretti a un moto perpetuo, i sodomiti. Dapprima c’è l’incontro con i tre concittadini, Jacopo Rusticucci, colui che parla, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi, distintesi in vita per la loro attività civica. I tre si dispongono come dei lottatori nudi e unti in cerchio intorno ai due poeti, ben determinati a chiedere a Dante sulla situazione attuale della loro città “prava”, Firenze. C’è ancora traccia della cortesia e del valore in essa? Allora il pellegrino alza la testa e guarda in sù nel buio punteggiato di farfalle di fuoco e grida: “La gente nuova e i sùbiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.” Dall’inferno grida Dante contro gli arrivisti delle ultime mandate e le ricchezze accumulate in quattro e quattr’otto, senza troppa fatica e scrupoli, hanno generato la prepotenza boriosa e la smodatezza triviale, di cui si lamentano gli effetti. Nel rintrono fragoroso del fiume di sangue, Dante e Virgilio arrivano sull’orlo del baratro che delimita il cerchio e qui si compie un misterioso rituale. Dante slaccia la corda che ha intorno alla vita e la porge alla sua guida. Virgilio la getta nell’abisso convocando un essere mostruoso che apparirà volando all’insù dal fondo del burrone. Dante non ci dice chi è (lo scopriremo prestissimo) ma prega il lettore, giurando sulla “comedìa”, di credergli. Sono fatti veri, perché voluti da Dio.

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