RECORDI

Avtorskaja pesnja

L’articolo che leggerete è stato scritto a sei mani e per più motivi rappresenta esattamente quello che avevo in mente quando ho iniziato questa rubrica. Primo, vi parleremo di un argomento che non possiamo neanche definire dimenticato perché in Italia non è mai arrivato: la canzone d’autore russa. Ve ne parlerà il mio amico Massimo nei quattro paragrafi iniziali. Secondo, tre persone in tre differenti luoghi fisici hanno scritto due canzoni. La prima canzone si chiama il tatuaggio, scritta da me e da Massimo, è un omaggio a Vladimir Vysockij, uno dei maggiori esponenti del cantautorato russo. La seconda canzone è la risposta alla prima. Il testo è dell’amico Enzo e può essere un prequel o un sequel. Enzo mi ha autorizzato a pubblicare le note al testo che ha scritto. Le note sono importanti perché insieme al resto vi portano nel backstage del processo creativo di tre persone che scrivono due canzoni.

Cominciamo.

Al XX Congresso del Partito Comunista tenutosi nel febbraio 1956, l’allora Segretario del Partito Nikita Chruščëv denunciò il culto della personalità di Stalin – morto tre anni prima e a cui Chruščëv era succeduto – e i crimini delle Grandi Purghe, dando così avvio a quello che è passato alla storia come processo di “destalinizzazione” dell’Unione Sovietica. Nonostante per un totale smantellamento del sistema di campi di lavoro disseminati sul vastissimo territorio dell’URSS e noto col nome di GULag bisognerà attendere gli anni Ottanta e la perestrojka di Gorbačëv, molti di coloro che vi erano rinchiusi in quegli anni cominciarono a ritornare a casa, portando con sé ricordi, traumi, il linguaggio della “zona” e le sue canzoni.

La canzone d’autore russa (avtorskaja pesnja) nasce durante questa confluenza storica, quando alcuni esponenti dell’intelligencija moscovita imbracciarono la chitarra (a sette corde, come vuole la tradizione russa) e cominciarono a musicare i propri testi, che talvolta parlavano anche della vita nel lager, e raggiungerà il suo picco nella seconda metà degli anni Sessanta. A questa prima fase ne seguirà un’altra, più delocalizzata, figlia non soltanto della tradizione popolare russa e degli ormai padri degli anni Cinquanta e Sessanta, ma anche della musica occidentale penetrata sempre più massicciamente proprio nel periodo di destalinizzazione del Paese.

I primi cantautori attinsero a piene mani da generi che, per tematiche, ideologia e tessuto musicale, non rientravano in quella che era considerata la canzone sovietica “ufficiale” o canzone proletaria di massa. Questi generi, sebbene sanzionati, erano in parte tollerati dal Partito, sopravvivevano nella tradizione popolare. Tre sono quelli che più di altri echeggiano nell’avtorskaja pesnja: il primo è la “canzone zigana”, generalmente interpretata da uno o due chitarristi, che racconta di passioni illecite e dissolute. Con la nascita dell’Unione Sovietica, la cyganščina – l’epiteto con cui veniva indicata – divenne ben presto l’emblema della decadenza borghese a cavallo tra i due secoli. Il secondo è la “romanza crudele” (žestokij romans), che narra storie melodrammatiche di amore non corrisposto e infedeltà. Il terzo pilastro della canzone d’autore sovietica, che potrebbe essere tradotto come “canzone dei bassifondi” (blatnaja pesnja), getta uno sguardo, spesso benevolo, al mondo di vendette e tradimenti di coloro che si ritrovano a vivere la propria vita dalla parte “sbagliata” della legge.

Si dice che Vladimir Vysockij, artista eclettico e, insieme ad Aleksandr Galič e Bulat Okudžava, una delle figure di culto dell’avtorskaja pesnja moscovita, abbia avuto l’ispirazione per scrivere, nel 1961, Tatuirovka (Il tatuaggio), quella che lui considerava la sua prima vera canzone, un giorno in cui, trovandosi a viaggiare su un mezzo pubblico, scorse sul petto di un uomo un tatuaggio che ritraeva il volto di una donna. I tatuaggi hanno sempre avuto un ruolo importante nella cultura carceraria russa, con una ben definita simbologia. E l’iconografia religiosa riveste un ruolo fondamentale. La parola che Vysockij usa per riferirsi al tatuaggio di Valja (diminutivo di Valentina) che Lëša (diminutivo di Aleksej) ha tatuato sul petto è obraz, che in russo indica anche l’immagine sacra. In questo omaggio a Vysockij che proponiamo qui abbiamo voluto appunto sottolineare questo legame tra sacro e profano, col protagonista che rivede l’immagine da lui ormai idealizzata e sacralizzata del suo amore per sempre perduto tatuata, per sempre, sul petto dell’amico rivale:

Il giorno dopo aver mandato in redazione la registrazione di Tatuaggio, mi sveglio e mentre bevo il caffè ricevo un messaggio vocale. È Enzo che canticchia una melodia simile alla nostra ma usa parole diverse. È la prima canzone di risposta di questa rubrica. Spero ce ne saranno tante altre. A corredo, Enzo mi manda dei messaggi in cui spiega il suo punto di vista. Il significato del testo di Enzo lo lascio alle sue parole:

“E’ il seguito ideale del pezzo con lui che si tatua come il suo amico. La sposa. E. poi. E poi.

E’una variante volendo picara. Si può fare anche a stornello tipo la parolaccia. Il ristorante dei buoni che si degradano.

La coda del pezzo di Dario è il selfie di un uomo di mezza età. Un ripieno di donne nude anche se vestite, chi vestita di potere chi di una medaglia e chi solo di un culo. La donna di potere ad esempio. E’ uno degli stereotipi nella sua testa. L’unica donna di valore è quella morta.

Pure ciò che segue.

E’ la premessa del pezzo dei russi romantici, il balletto. Un incubo caccia lei che ha lui per non tradirlo, il suo grande vero amore, il suo amico.

Oppure ancora è il pomeriggio di quello del tatuaggio. Che l’amica se la trova purtroppo ancora. Lei è schiava dei ricordi e lui la sprezza. Senza l’amico non la vuole più”.

 

Io prendo la chitarra e la suono. Ascoltatela. Mettetele insieme. Scrivetene un’altra. Pensate ai personaggi da un altro punto di vista. Pensateli da bambini, da anziani, da morti. Possiamo fargli fare quello che vogliamo. Fino a rassomigliarci o fino a fargli fare quello che non abbiamo mai avuto il coraggio di fare. Teoricamente potremmo espandere questa storia fino ad un disco. Buon ascolto:

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