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Convegno di Napoli, il resoconto di Giuseppe Salemme

Chiacchieratissima alla vigilia, la conferenza “Calcio e diritto: il rispetto delle regole nell’era del VAR”, tenutasi nell’Aula Magna dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli in occasione della presentazione del libro “Campionato di Calcio e Stato di diritto” a cura di Guido Clemente di S. Luca, sta effettivamente facendo discutere anche e soprattutto per gli interventi di alcuni degli ospiti (in particolare quello di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione).

Da studente di diritto, oltre che da juventino, mi interessavano quelli che sembravano essere i propositi della conferenza e del libro oggetto di quest’ultima: parlare di calcio in punta di diritto, magari partendo da un punto di vista parziale (tutti gli autori del libro non hanno affatto nascosto di essere, a loro stessa detta, “malati del Napoli”), ma ragionando in maniera squisitamente scientifica, come tra l’altro era lecito aspettarsi dato il luogo dell’evento. Tali propositi, a mio parere, sono stati mantenuti solo in parte.

Già Raffaele Cantone (suo il primo intervento), con delle dichiarazioni pregne di buonsenso, come si conviene ad un uomo nel suo ruolo, ha subito evidenziato ciò che già la campagna pubblicitaria attorno all’evento poteva suggerire: la portata principale della serata era costituita dalle sempre attuali recriminazioni di una parte del tifo partenopeo sullo Scudetto 2018. Le reazioni di parte della platea alle parole di Cantone dimostrano abbastanza chiaramente che molti dei presenti erano probabilmente interessati a vedere conferita una base giuridica seria e concreta a discorsi che spopolano nei bar ormai da parecchi mesi, il tutto da una figura autorevole come quella di Cantone. Quest’ultimo tuttavia, placato qualche commento più da curva che da aula universitaria, continua il suo intervento entrando effettivamente nel merito di una questione trattata nel libro, quella del rapporto di subordinazione dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri) alla FIGC, spiegando come una tale situazione rischi inevitabilmente di creare casi di conflitti di interessi e di conseguente mancanza di serenità di arbitri che potrebbero sentirsi “dipendenti” della stessa Federazione di cui fanno parte le squadre di Serie A. Proposta di Cantone sarebbe quindi quella di rendere completamente autonoma l’AIA, per tutelare meglio sia gli arbitri, sia la credibilità del gioco.

A quello di Cantone è seguito l’intervento dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni, che ha dapprima sottolineato l’importanza sociale del calcio e del tifo in una città come Napoli, in parte quindi contrapponendosi a Cantone, che aveva per lo più voluto separare l’argomento calcistico da quello attinente alla società ed allo stato di diritto; per poi concludere con un accorato appello diretto a far cessare le condotte discriminatorie negli stadi, proponendo finanche di punire con sconfitte a tavolino le squadre i cui tifosi dovessero macchiarsi di tali comportamenti.

Due i fuori programma: in primis un intervento dell’avvocato Maurizio Paniz, presidente dello Juventus Club Parlamento, il quale auspica, oltre ad un abbassamento generale dei toni della rivalità tra Juventus e Napoli, che la compagine partenopea possa effettivamente migliorare gli importanti obiettivi raggiunti negli ultimi anni fino a conquistare il tanto agognato Scudetto.

In secundis, l’intervento di Gianluca Ciotti, avvocato dell’ex arbitro di Serie A Claudio Gavillucci, dismesso dall’AIA dopo che fu il primo (e tuttora l’unico) arbitro che decise di sospendere una partita (Sampdoria-Napoli del 13 maggio 2018) per cori di discriminazione territoriale. Le sue parole descrivono una situazione potenzialmente allarmante nel modo in cui l’AIA valuta i suoi arbitri, specialmente per la pressoché totale mancanza di trasparenza: referti sbianchettati, impossibilità per un arbitro di risalire sia al voto sia al giudizio sintetico sulla singola prestazione, con la conseguenza che un arbitro Gavillucci si sia trovato, a suo dire, dismesso “a sorpresa” a fine campionato, senza il supporto di una precisa motivazione. L’avvocato conclude sottolineando quindi la necessità di riformare i metodi e le procedure di valutazione degli arbitri da parte dell’AIA, obbligando quest’ultima a motivare ogni provvedimento di dismissione e ad essere più trasparente nel confronto con gli arbitri.

Tra i tanti interventi, merita poi di essere citato quello di Filippo Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato, che ha in qualche modo accompagnato Guido Clemente di San Luca, curatore del libro, nella descrizione dell’impianto giuridico di quest’ultimo. Semplificando da quanto è sembrato emergere dalle loro parole, esso identifica l’arbitro come una sorta di “organo amministrativo” interprete delle regole dell’ordinamento giuridico sportivo (tale qualificazione del ruolo arbitrale non trova comunque del tutto concorde Griffi); l’arbitro opererebbe dunque alcune delle sue scelte sulla base di quella che nel libro è definita “discrezionalità tecnica”. In determinati casi, tuttavia, tale discrezionalità potrebbe sfociare in una sorta di “eccesso di potere” (anche con questa identificazione tuttavia Griffi non è d’accordo), che quindi renderebbe illegittimo il risultato di una gara. Clemente di San Luca ci tiene comunque a precisare che la nozione di “illegittimità” non implichi necessariamente quella di “illiceità”, e che quindi tale disquisizione giuridica non vuole assolutamente andare teorizzare l’esistenza di un dolo o di una malafede degli arbitri negli episodi analizzati nel libro (tutti risultati favorevoli alla Juventus).

La conferenza si chiude con brevi interventi di altri coautori del libro, a dire il vero talvolta aventi poco a che fare con l’aspetto puramente giuridico della faccenda (invitare a rispolverare il frame del mancato giallo a Pjanic o trovare nelle parole di Nicchi “Un grande arbitro come Daniele [Orsato, arbitro di Inter-Juve, ndr.] è rimasto due giorni barricato in casa con i figli, tra insulti e telefonate poco simpatiche. Tutto per una serata non felice, un cartellino non dato” la prova addirittura di una qualche malafede difficilmente può essere etichettato come qualcosa di diverso da bar sport).

(Giuseppe Salemme)

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