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Diario di un artista 104

Di MsFMaria ~ Keanu

 

Imprimere un concetto su carta o su palco è la parte più difficile per un autore, per chi interpreta, per un artista. Anche quest’ultimo lemma risulta abbastanza opinabile, ma non mi imbarcherò in discussioni sterili di lana caprina.

Non seguo molto le tendenze e mi limito a informarmi lo stretto necessario utile a rimanere sempre aggiornati: eccezion fatta per i Backstreet Boys fino al 2008, non ho mai prestato attenzione a ciò che attira (e detto da chi lavora nel mondo dello spettacolo, dell’Arte e della Comunicazione sembra molto anacronistico). A parte quando scrivo su commissione, ogni mia espressione artistica nasce dal desiderio di trasmettere qualcosa o per superare un trauma: se aiuta anche altre persone, decisamente meglio. Come in ogni campo nella vita, rivesto gli altrui panni assumendo un punto divista differente e mi chiedo: “Se trovassi questo o quello e mi aiutasse a trovare la soluzione, a capire, ad andare avanti?”. Un po’ come quando si inizia da capo qualcosa e non si sa cosa significhi A o B (no, non parlo delle istruzioni per l’uso, ma molto vicino): sembra che tutti siano depositari della scienza e dello scibile umano tranne noi e per raggiungere la meta bisogna andare a Delfi, parlare con l’Oracolo, poi passare da Ercole per un bignami sulle fatiche da affrontare e, infine, ritornare dal via per un premio di 2000 Lit e chi compra Parco delle Vittorie guadagna sempre più di tutti.

In fondo sì, la vita è un eterno gioco di ruolo le cui regole sono stabilite da un master (nel senso di magister) che muove le fila di tutto: ogni personaggio ha un allineamento caratteriale ben preciso e non sempre esce dai binari, perfino i più caotici. Chiunque segue l’istinto di sopravvivenza e così via, cercando di rimanere a galla: oggi si tratta di adeguarsi una moda, domani di ribellarsi, dopodomani di conformarsi ed esistono delle persone che eccellono all’interpretazione di un ruolo dal sapore biblico che chiamo “canna nel deserto” o più comunemente inteso come “cambia bandiera”.

Premettendo che lo scopo ultimo di questo scritto non è pettegolezzo o polemica, esprimerò la mia opinione in merito alla censura. Come si coniuga con il concetto precedentemete enucleato? Un attimo e lo sapremo.

La tendenza del momento è l’abbattimento della censura come limitazione estrema della libertà di espressione, in linea con la moderna linea di pensiero che riprende i concetti di base della Costituzione (e qui si potrebbe iniziare un corso di Costituzionale Comparato), dei diritti fondamentali dell’essere umano, etc. e pur di risultare moderni si condannano atti caduti in prescrizione che appartengono a momenti storici decontestualizzati: è facile adesso giudicare con il “senno del poi” qualcosa in termini di “giusto” e “sbagliato” con il metro attuale. Come dire che Greci, Romani, Etruschi (mi mantengo in ambito occidentale) dimostravano apertura mentale in merito all’esplorazione della propria sessualità nell’ambito delle proprie relazioni e risultava un costume comune quasi “obbligatorio” il provare l’omosessualità, la pedofilia (nell’accezione originale del termine) e pratiche erotiche poi censurate dalla religione successivamente dominante. Parola chiave: dominante. Chi sta al potere e domina decide come comportarsi e come pensare. Quindi, se Cesare aveva un giovane amante, ma si vergognava di soffrire di epilessia, era lo spaccato di quel tempo. Adesso, invece, si riscopre la spiritualità, l’esplorare nuovi orizzonti tramite l’accettazione del diverso e del politicamente corretto. Questa è di per sé un atto di limitazione: come ci si può esprimere liberamente senza offendere alcuna categoria? La domanda del Ventennio.

Qui si ritorna alla tendenza di cui sopra e di come rimanere a galla: dato che non si può dare addosso al presente, risulta più facile giudicare il passato. Pertanto, se oggi va di moda l’accettazione di determinate categorie, abbondiamo con utilizzo di asterischi, con andare contro chi ha scritto in un altro periodo storico qualcosa che risulti omofobo, xenofobo, misogeno, etc. come in una sorta di caccia alle streghe al contrario.

La verità è che nel volere accontentare ogni singolo individuo, esisterà sempre chi rimarrà in estromissione. Questo vale per ogni battaglia ideologica: oggi si tratta di censura, domani di diritti universali, dopodomani di religione o di rettiliani. Bisogna imparare dal passato e rendersi conto che, appunto, si va avanti, ci si evolve, si cresce e si diventa della diverse versioni del nostro essere. La stasi può aiutare un attimo a comprendere, ma dopo si riparte e si procede. Impariamo dagli sbagli e costruiamo qualcosa di nuovo.

Concludo con le parole di un artista che, a suo tempo, incarnò (e non solo) tutte queste tematiche e che, a parer mio, lascia ben riflettere sui noti “corsi e ricorsi”.

Oh me! Oh life! of the questions of these recurring,

Of the endless trains of the faithless, of cities fill’d with the foolish,

Of myself forever reproaching myself, (for who more foolish than I, and who more faithless?)

Of eyes that vainly crave the light, of the objects mean, of the struggle ever renew’d,

Of the poor results of all, of the plodding and sordid crowds I see around me,

Of the empty and useless years of the rest, with the rest me intertwined,

The question, O me! so sad, recurring—What good amid these, O me, O life?

  Answer.

That you are here—that life exists and identity,

That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.

Walt Whitman, Leaves of Grass (1892)

Oh me! Oh vita! Di queste domande ricorrenti,

Degli infiniti cortei di infedeli, di città gremite di stolti,

Di me stesso che sempre mi rimprovero, (Perché chi più stolto di me, chi più infedele?)

Di occhi che invano bramano la luce, degli scopi meschini, della battaglia sempre rinnovata,

Dei poveri risultati di tutto, delle sordide ansimanti folle che vedo intorno a me,

Degli anni inutili e vuoti del resto, io intrecciato col resto,

La domanda, ahimé, così triste, ricorrente: – Cosa c’è di buono in tutto questo, o me, o vita?

Risposta:

Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità,

Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso.

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