FUNK E MOLTO ALTRO
Intervista ai Memory Tales
A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Ciò che rende davvero fantastico questo… ma sì, chiamiamolo pure mestiere, è la possibilità di continuare a conoscere realtà forti, interessanti e cariche di talento, realtà che i potenti della discografia non vogliono per chissà quale motivo farci conoscere. Da lì al concetto infinito di sperenza il passo è breve. Speranza, esatto, perché in questo momento difficile, freddo e quasi privo di bellezza artistica abbiamo bisogno come non mai dell’energia del sottosuolo, del miracoloso underground. E a muoversi con capacità e idee nel circuito ci sono anche i viterbesi Memory Tales, gruppo che ha saputo creare un frizzante mix di funk, di alternative rock e di pop davvero accattivante. Giulia alla voce, Cristiano alle chitarra, Luca al basso e l’ultimo arrivato Danilo alla batteria si muovono parecchio bene e sanno conquistare fin dal primo ascolto grazie a trame musicali particolarmente scandite. Come nasce ogni cosa? Lo chiedo direttamente a loro, che stanno per pubblicare altri nuovi singoli.
Tramite un amico in comune, lo scrittore Andrea Moretti, sono arrivato alla vostra musica e, con grande piacere, ho voluto portarvi qui. Presentiamo al volo il progetto: chi siete e che cosa fate?
Cristiano: ringraziamo anche noi il nostro amico Andrea e tutti i lettori di MDN; è un vero piacere essere qui! Noi siamo i Memory Tales, una band funk-pop-rock della provincia di Viterbo, siamo al decimo anno di attività e il progetto nasce per scrivere inediti.
Anima funk, groove deciso e, come scuola vuole, sezione ritmica basso-batteria più che robusta. Sono questi gli elementi principali della proposta Memory Tales. Come nascono i vostri brani? Sì, da dove si parte?
Luca: intanto un ringraziamento a nome della sezione ritmica! Per quanto riguarda la parte musicale, il processo non è sempre lo stesso: spesso siamo partiti dalla linea di basso, altre volte dalla chitarra, in altri casi i brani sono nati da jam in sala prove. Comunque, la parola d’ordine è libertà e il contributo di tutti è fondamentale e indispensabile.
Giulia: il momento in cui un brano prende vita è sempre il mio momento preferito da dieci anni, è sicuramente qualcosa di “magico”. I miei compagni di viaggio iniziano a suonare al loop e, seduta in un angolo con il quaderno in mano, entro in una specie di trip mentale durante il quale, così dal nulla, nascono una melodia e delle parole che inizialmente non comprendo, ma che poi chiarificano molto più di quel che immagino…
Funk, abbiamo detto, ma non possiamo non pensare per esempio a brani come l’atmosferica My Drops o alla variopinta Regression. Voglio dire, si parte da una base solida, ma ci si muove qui e lì con dimestichezza. Cosa mi dite?
C: ci rimane difficile racchiuderci in un unico genere in quanto, avendo libera espressione nella composizione e nell’arrangiamento, non ci siamo mai limitati a chiuderci in dei canoni
G: Credo semplicemente che le variegate influenze musicali, insieme al mood del momento e un po’ di pancia, facciano sì che le nostre canzoni abbiamo una base solida, riuscendo ogni volta a viaggiare su pianeti differenti esprimendosi così come gli viene naturale.
In catologo due curatissimi Ep, Get Up e Keep Calm. Ne parliamo?
G: Entrambi sono molto preziosi per noi. Get Up è stato personalmente un grande banco di prova, in quanto non ero mai entrata in sala registrazioni prima dei Memory Tales ed è stata una delle esperienze più belle di sempre. Ricordo l’emozione nel sentire, per la prima volta, le nostre canzoni con suoni da studio e la soddisfazione di poterle condividere ovunque! Il secondo lavoro, Keep Calm, è invece diverso sia per approccio (eravamo più consapevoli e pronti) che per circostanze: registrato durante una pandemia e fatto uscire quando tutto era assai strano (restrizioni sui live e sulla socialità in generale), nonostante varie vicissitudini, rimane un EP pieno di canzoni alle quali siamo legati in maniera profonda!
Entrando un po’ più nel dettaglio, cosa rende così differenti i due dischi?
C: in primis la differenza si trova nella line up, perché sono stati registrati con batteristi differenti e con approcci allo strumento totalmente diversi. In linea di massima trovo che entrambi siano EP figli dei Memory Tales, con un groove personale che può variare, dalla malinconica My Drops alla più aggressiva Keep Calm.
In studio come avete lavorato?
C: per la registrazione dei primi due EP abbiamo lavorato in uno studio locale, andando a registrare tracce separate per poi affidargli il mix e il master. Per gli ultimi singoli, invece, mi sono avvicinato personalmente all’home recording e all’utilizzo delle DAW (per gioco, dico sempre che sono stati registrati nella “stanza dello spirito e del tempo”, citando gioiosamente la mia camera). Per la batteria ci siamo valsi dello studio di un nostro amico, Fausto, che ringraziamo per la disponibilità. Il mix e il master sono stati affidati a uno studio professionale di Viterbo, l’8 Hertz Audio.
Non è mai facile scegliere o rispondere, ma quali sono le canzoni che più amate del repertorio?
L: abbiamo più di quaranta brani originali (prima o poi spero che vedranno tutti la luce di uno studio di registrazione), qui mi limiterò solamente a quelli registrati: Inside of Me, Get Up, Regression, A Good Wind.
C: domanda alla quale non riuscirei a rispondere perché, egoisticamente, potrei citare pezzi dove ho riff e soli di chitarra più di spicco, ma il nostro lavoro musicale è sempre stato concentrato sulla riuscita del brano e mai sulle individualità. Comunque, per come le ho vissute insieme ai miei compagni di viaggio, direi Get Up, Unrequited e He’s a Fool.
G: Le amo tutte profondamente e tutte in modo e per motivi diversi; è difficile scegliere quale figlio amare di più, giusto? Queste canzoni sono un po’ come pezzi dell’anima e non potrei sceglierne una parte piuttosto che un’altra ma, se dovessi dire quale rispecchi di più l’essenza e il cuore di questa banda, direi Inside of Me. Questo è forse il pezzo che ha creato la “colla” (come amo chiamarla), la magia! Essa esprime il legame che ci rende tutto quel che siamo ed è lo spartiacque tra chi eravamo prima del gruppo e chi siamo diventati (siamo tutt’ora) con i Memory Tales.
Danilo: Tra i brani rilasciati che apprezzo di più ci sono sicuramente Don’t Escape e Regression.
Molti dei brani che preferisco sono stati scritti in saletta durante questi mesi, li sento più miei ed è sempre un piacere suonarli, senza togliere nulla al maestoso repertorio dei ragazzi, che conta moltissimi brani di qualità, tanti ancora da rilasciare.
Da pochissimo è ovviamente uscito anche Strain, il vostro ultimo singolo. Un ulteriore passo in avanti, una canzone intensa, raffinata e allo stesso tempo affilata. Insomma, tanti elementi ben combinati. A voi la parola…
C: grazie mille per le tue splendide parole. Strain è frutto della malinconia della mia chitarra, resa tagliente e pungente da uno splendido giro di basso che smuoverebbe il collo di chiunque, dalla batteria pulsante di Danilo e il tutto coronato dalla voce di Giulia, che porta il brano su un livello ultraterreno
G: Strain è una canzone, potremmo dire, diversa dalle altre per sonorità e mood, ultimamente sperimentiamo ancor più che in passato, ma rimanendo legati alle nostre “radici”. È un brano sulla consapevolezza del proprio limitarsi e quindi rappresenta la spinta, lo sforzo appunto, verso un futuro di scelte consapevoli e risposte date alle nostre domande sopite.
D: Strain, il singolo appena uscito, e i due che rilasceremo a breve sono i primi che ho registrato insieme a loro ed è stata un’esperienza molto importante e che sicuramente mi ha arricchito come musicista. Ho cercato di accompagnare e adattarmi il più possibile al sound che i ragazzi avevano dato ai brani e spero di esserci riuscito. Un ringraziamento a Fausto, che in fase di registrazione ci ha aiutato a limare e pulire diversi dettagli molto importanti.
Qualche anticipazione sui prossimi due singoli?
G: Empathy e The Cage. La prima è nata in maniera insolita durante una prova di ormai sette/otto anni fa, quando solo Luca e io eravamo presenti; è una canzone sulle emozioni specchio e l’empatia. The Cage è invece un brano più cupo e particolare, per certi versi, è una canzone apparentemente esplicita, ma che nasconde una lettura dietro le righe quasi inaspettata sulle gabbie che ognuno di noi si costruisce intorno per poter continuare a vivere, mostrando il volto mascherato di chi nasconde del cruccio, o peggio, della depressione. La gabbia può essere qualsiasi cosa, a volte, potremmo essere noi stessi.
Testi, allora. Quali sono le tematiche da voi trattate?
G: In linea generale si parla di umanità, in ogni sua componente: paure comuni, situazioni che ci rendono essenzialmente noi; perdizione causata da un mondo alla deriva che, purtroppo, continua a fare gli stessi errori all’infinito e ai quali porre rimedio è complicato. Dunque, scrivo parole di speranza, di aiuto e comprensione per chiunque si riveda in questo casino (forse anche per riordinare il mio). Parlo del mondo e dei suoi problemi ambientali (My Drops) o ancora di una storia che si ripete, riproponendo puntualmente gli stessi schemi di odio, morte e delirio (Bridge Lights). Parlo di scelta e coraggio (Get Up, Don’t Escape) perché spero di non rimanere a terra o di perdermi nella rabbia (Regression, Inside of Me, Keep Calm). Parlo anche di Amore in ogni sua forma (Daybreak, Life, Unrequited) compreso quello nei confronti della stessa Musica; tocco spesso il tema della resilienza (He’s a Fool, A Good Wind) e di tutto ciò che mi frulla nella testa in maniera caotica e che cerco di riordinare attraverso note, melodie e ritmo, trovando il giusto incastro e riscoprendo un respiro regolare.
Chi sono i vostri idoli musicali, gli artisti che hanno ispirato il vostro modo di comporre?
L: Domanda ovviamente molto personale, ma credo che ascoltando le canzoni possiate ritrovare un po’ lo stile di questi nomi (almeno spero): Red Hot Chili Peppers, Rush, Iron Maiden e molti altri.
C: Un amore che ci ha sempre accomunato sono i Red Hot Chili Peppers. Per entrare più nel personale, mi trovo costretto a citare Gilmour, chitarrista della band storica Pink Floyd. Di lui ho sempre ammirato lo stile e il modo di far cantare la chitarra. Il suo sound mi è entrato nell’anima e mai più ne uscirà. Infine, difficile a dirsi ma gruppi come gli Iron Maiden, gli Slayer e i Gojira saranno sempre presenti nelle mie corde.
G: difficile rispondere senza sembrare schizofrenica! Gli artisti che ascolto appartengono ognuno a generi totalmente diversi tra loro: Michael Jackson, Stevie Wonder e Withney Huston, ma anche, nonostante non c’entrino nulla, Queen, Bon Jovi, Bob Marley e Enya, sono coloro che mi hanno fatto innamorare della musica prima di chiunque altro. Poi è arrivata l’adolescenza e con essa un ascolto ancora più vario fra cui Linkin Park, Pink Floyd, Bowie, Red Hot Chili Peppers, Iron Maiden, Placebo, Radiohead, ma anche artisti come i Police! La verità è che ascolto da sempre ciò che mi emoziona e che amplifica quel che sento nel giusto momento e chi sento essere profondamente umano!
E dal vivo come vanno le cose? Si suona…
L: Più o meno! Diciamo che trovare spazi per gruppi che fanno musica propria è veramente difficile. Non credo che cambierebbe molto con un repertorio in italiano (spoiler: abbiamo finalmente scritto la nostra prima canzone in italiano), ma in generale c’è una perdita di interesse verso l’ascolto della musica, tra le altre cose (e non voglio neanche pensare a cosa succederà in futuro con l’IA)
Allora una domanda che, a dire il vero, faccio quasi sempre agli ospiti di MDN, adesso. Situazione musicale in Italia? Bah, mi limito a un bah…
L: io mi associo al tuo bah e mi taccio, pensando a Darwin del Banco del Mutuo soccorso.
C: secondo me, in Italia, la musica sta diventando un prodotto usa e getta, figlia dell’immagine dell’artista e non del talento. Basti pensare che brani volgarmente chiamati tormentoni estivi, dopo tre mesi, rimangono nelle famose playlist Estate e dimenticati per sempre. Per la musica italiana servirebbero dei veri dischi, come per esempio i lavori del buon Ivan Graziani.
Cosa non vi ho chiesto?
G: Forse come è nato tutto questo e qual è la nostra storia. Beh, tutto è nato grazie a un gruppo di amici che si è messo alla ricerca di una voce. La voce l’hanno trovata in qualcuno che inizialmente non sembrava poter essere all’altezza; con il tempo ci siamo conosciuti, sia come band che come amici (alle prove era ed è come andare a una festa); poi il nostro batterista ha deciso di trasferirsi in Inghilterra e siamo rimasti in tre (anche se il nostro caro James rimane parte della famiglia). Abbiamo cambiato altri due batteristi prima che arrivasse Danilo, proprio quest’anno. Forse chiederei a lui com’è stare in questa gabbia di matti! Scherzi a parte, credo che i Memory Tales funzionino per il bene che ci vogliamo, la stima che proviamo gli uni per gli altri e per la bella famiglia che siamo!
D: Sono entrato da poco nei Memory Tales e posso solo che complimentarmi con i ragazzi per il loro repertorio e per il lavoro che hanno fatto in questi anni. Sono stato accolto da subito a braccia aperte e mi sento già in famiglia. Spero di portare il mio contributo per i progetti a venire e, con il tempo, di sviluppare un sound distinto e che si sposi bene con le dinamiche della band.
Salutate i lettori, ricordando i link per seguire i Memory Tales…
Memory Tales: Grazie infinite a te, Ricky, a MDN, a tutte le persone che ci leggeranno, a ogni sostenitore (storico e nuovo). Ricordiamo a tutti che potete seguirci sui social (FB e Instagram) e ascoltare la nostra musica su tutte le piattaforme online (Youtube, Spotify, Apple Music, Amazon Music, ecc.). Get up and stay tuned! Speriamo di potervi regalare emozioni con le nostre canzoni!
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