Di Adriana La Trecchia Scola

 

Nella societa’ attuale e’ tutto un rincorrersi di grandi eventi che si preannuncia catalizzeranno l’ attenzione del mondo intero o di una grande parte.Di solito si assiste a una frenetica prolificazione di queste titaniche manifestazioni perche’ (come si suol dire) l’ appetito vien mangiando.Almeno la fame degli sponsor e’ ineusaribile,e di conseguenza la comunita’ (o massa) deve essere indotta al consumo compulsivo.E’ difficile credere che tanti stimoli mantengano alta l’ attenzione dato che la caratteristica della natura umana e’ la problematizzazione dei fatti. La scienza ha individuato da tempo il Dmn (Default mode network):quella parte del cervello responsabile dei nostri pensieri sul passato,dei progetti per il futuro,dei nostri schemi di pensiero,del rimuginare continuo.Questa essenza del pensiero umano e’ alla base di percorsi mentali labirintici,che possono sfociare in situazioni di disagio quali depressione,ansia,paranoia.Si potrebbe dire che c’e’ la predisposizione interna,poi l’ ambiente esterno la amplifica.Se i messaggi veicolati vanno tutti in una  direzione univoca,quella del consumo ininterrotto e “felice”,puo’ accadere una senzazione di straniamento che ci isola irrimediabilmente.Oggi il problema e’ mantenere la propria integrita’ in una girandola rutilante di annunci pubblicitari.Il post-tecno-capitalismo si alimenta attraverso sentimentalismo e buonismo (aka politicamente corretto e cancel culture) per cui i “valori” propagandati sono imbattibili.Gli influencer che condizionano la nostra quotidianita’ “operano” a favore del bello e buono rendendoci proni al loro effetto.Pertanto gli animi sensibili e fragili possono avvertire un cortocircuito che li estrania dal contesto.Infatti il problema viene considerato del singolo (per sue personali patologie) e non attribuibile alla societa’.La cd. sensibilizzazione sulla salute mentale non rappresenta un’ assunzione di responsabilita’ collettiva ma il modo ipocrita di essere sul pezzo correttamente. Del resto chi si trova in una situazione di disagio difficilmente ha la capacita’ e la voglia di manifestarla apertamente perche’ non puo’ soddisfare i parametri imposti.Chi sta male non consuma altro che se stesso per cui non rientra nei modelli “vincenti” prestabiliti.Anzi al netto dell’ attenzione di facciata che si riserva a chi soffre,tale condizione viene stigmatizzata perche’ non e’ “edificante” (piu’ che altro non concorre lieta alla causa consumista).Il turbo-capitalismo ha determinato un ambiente molto conformista nella sua apparente originalita’,che tende solo a preservarsi. Anche le espressioni artistiche odierne sono asfittiche,ripetitive,non hanno profondita’ perche’ non corrono rischi che non sono proficui.Di conseguenza oggi non sembra realizzarsi il meccanismo catartico tipico del teatro greco attraverso il quale l’ uomo puo’ esorcizzare i suoi mali trovando sollievo.L’ arte contemporanea non sublima niente se non il successo commerciale.  Sarebbe banale distinguere tra arte alta e  arte bassa,pero’ se si vuole raggiungere un grande pubblico inteso come un insieme di consumatori-utenti-clienti non si crea qualcosa di onesto.Forse la vera ribellione e’ non accettare supinamente il canone dominante perche’ non e’ detto che sia quello giusto per ognuno di noi.Risponde a una visione antiquata l’ idea che la vita e’ “bella” e che si debba per forza essere “positivi”,per cui chi non ce la fa e’ un perdente che rimane abbandonato al suo destino.Un poco noto premio Nobel,lo svedese Pär Lagerkvist,non ha avuto paura di indagare il vuoto e l’ orrore esistenziale. Dal libro La mia parola e’ No:”Noi non apparteniamo alla vita.Anche se forse la nostra anima si dissolvera’ col nostro corpo,anche se forse non abbiamo altro che questo breve tempo in cui ci e’ dato di fiorire e morire-comunque non le apparteniamo.Siamo qui per superare la vita,per vincerla.E’ per un rifiuto che siamo al mondo,per essere scoglio sul mare del tempo contro cui le onde infinite si infrangono facendosi schiuma.La nostra parola e’ No”. “Nulla placa la nostalgia dell’  anima.Ne’ il dolore ne’ la gioia piu’ profonda.Perche’ essere umano e’ avere fame,solo avere fame,fame di qualcosa che non si puo’ raggiungere.Di qualcosa che non esiste”. “La vita non ha per fine la nostra realizzazione.La vita non ci capisce. E come potrebbe.E’ tutt’ altro da noi… Vivere!Perche’ dobbiamo sempre,sempre vivere?Perche’ non possiamo mai essere?”. “E’ questa la nostra tragedia:la vita non ci basta.E’ da qui che derivano tutti i nostri problemi,tutta la nostra miseria.Siamo esseri che tendono le mani al cielo”. “La vita e’ il prezzo che paghiamo perche’ il nostro essere possa esistere”. “Mai,cuore umano,troverai pace dal tuo sogno di eternita’.Mai ti bastera’ la vita.Tu devi creare,cercare qualcos’ altro,qualcosa al di la’.Dobbiamo perennemente dare la sua parte all’ immortalita’.” Pär Lagerkvist ha un tono sapienzale:quello di un ateo rimasto nel vuoto della fede.In un altro libro (che si intitola La sibilla) la sibilla di Delfi dice:”Dio e’ diverso da noi,percio’ non lo capiremo mai.E’ imperscrutabile,incomprensibile.E’ dio,egli e’ il bene e insieme il male,la luce e insieme le tenebre,e’ futile e insieme pieno di significato che non riusciremo mai a penetrare e non cessera’ mai di confonderci”.

Sono venuto in questo mondo da solo
Moriro’ da solo
Questi sono i primi versi della canzone Vine solita tratta dall’ album di inediti De todas las flores.Tale frase sembra ricalcare l’ epilogo di Lanterna magica (l’ autobiografia del crudele genio del cinema Ingmar Bergman,pubblicata nel 2004 tre anni prima della sua morte):”Prego Iddio senza fiducia.Bisogna arrangiarsi da soli,per quanto e’ possibile”.Certo Bergman e’ divenuto immortale proprio perche’ ha sacrificato all’ arte tutto,ossia l’ umanita’. “Voglio essere fastidioso,irritante e indefinibile.L’ impossibile e’ troppo attraente,e io non ho niente da perdere.Non ho nemmeno niente da guadagnare,a parte il gentile plauso di qualche giornale…Le baccanti testimoniano il coraggio di spezzare le forme”. Nel caso della cantautrice messicana María Natalia Lafourcade Silva e’ diverso:in quanto il suo ultimo disco di inediti dopo sette anni e’ un raffinato diario intimo delle sue emozioni,che celebra l’ amore e la sofferenza che a volte ne deriva,la vita e la morte,la femminilita’,la natura,la spiritualita’.La stessa Lafourcade ha detto sulla scelta di tornare a scrivere nuove canzoni dopo essersi  dedicata a esplorare il vasto repertorio della musica popolare messicana:”Mi sono divertita molto a esplorare generi diversi e autori differenti, ma poi nel bel mezzo della pandemia mi sono resa conto che mi stavo nascondendo.Mi ha fatto riflettere e capire che dovevo rompere il ghiaccio e tornare in studio di registrazione”.Il risultato e’ l’ album De todas las flores composto esclusivamente da canzoni firmate da lei. Il produttore e’ il musicista art rock franco-messicano Adán Jodorowsky (figlio del regista Alejandro Jodorowsky) e partecipa,tra i vari musicisti ospiti,l’ arcinoto chitarrista americano Marc Ribot.Lo stile di Natalia Lafourcade e’ un mix di pop,rock,bossa-nova e ritmi latini che ha avuto un grande successo nel 2015  con il disco Hasta la Raíz,vincitore di numerosi Latin Grammy.Secondo Lafourcade:”Il disco mette in fila una serie di momenti.Inizia con un cuore spezzato e con me che in Vine solita stringo un patto con la vita.Sono venuta al mondo sola e sola me ne andro’.Nulla puo’ cambiare questa cosa.Muerte rappresenta il momento della risoluzione,la musica si decostruisce,tutto svanisce e diventa gioia”. “La morte e’ parte della vita.Porta vuoto,dolore,vergogna.C’e’ cordoglio,ma noi esseri umani nel corso della nostra esistenza,dobbiamo sperimentare molte morti,non una sola.Io ne ho incontrata una e quest’ album e’ stato la mia salvezza,il mio sollievo,l’ abbraccio,la rinascita,il gesto di ripiantare i semi.Ora sono seduta li’,nel giardino che ho rinnovato,per vedere cosa c’e’ dentro.E da li’ che deriva la bella metafora dei fiori”.
megliodiniente

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