Articolo di Carla Murialdo
Tutto è indecidibile, sogno e realtà, vero e falso, maschera e volto, farsa e tragedia, allucinazione e
organizzata teatralità di mosse e contromosse beffarde, in questo thriller che impone al lettore, tallonato
dal dubbio e portato per mano dentro la luce fosca e i gomiti angustiosi dell’orrore, una lettura lenta del
ritmo accanito dell’azione. Tutti si acconciano a recitare, nel romanzo: che si apre drammaticamente
con i licenziamenti degli impiegati e degli operai di una fabbrica di scafi gestita da un padroncino
vizioso e senza ritegno, detto Giogiò; e con il suicidio, nello squallore di un capannone, di un padre di
famiglia disperato. Da qui partono e si inanellano le trame macchinose e la madornalità di una vicenda
che comprende, per «stazioni», lo smantellamento del commissariato di Vigàta, la solitudine scontrosa
e iraconda del sopraffatto Montalbano, lo sgomento di Augello e di Fazio (e persino dello sgangherato
Catarella), l’inspiegabile complotto del Federal Bureau of Investigation, l’apparizione nebbiosa di «’na
granni navi a vela», Alcyon, una goletta, un vascello fantasma, che non si sa cosa nasconda nel suo
ventre di cetaceo (una bisca? Un postribolo animato da escort procaci? Un segreto più inquietante?) e
che evoca tutta una letteratura e una cinematografia di bucanieri dietro ai quali incalza la mente gelida
di un corsaro, ovvero di un più aggiornato capufficio dell’inferno e gestore del delitto e del disgusto.
«L’Alcyon […] aviva la bella bitudini di ristari dintra a un porto il minimo ’ndispensabili e po’ scompariri».
Il romanzo ha, nella suggestione di un sogno, una sinistra eclisse di luna che incombe (detto alla
Bernanos) su «grandi cimiteri». La tortuosità della narrazione è febbrile. Prende il lettore alla gola. Lo
disorienta con le angolazioni laterali; e, soprattutto, con il tragicomico dei mascheramenti e degli