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IL ROCK PSICHEDELICO Oltre la percezione

Articolo di Riccardo Gramazio

Espandere la coscienza, spingerla altrove e in chissà quale dimensione onirica. Allargare le dolci e al contempo oscure porte della percezione. Non esistono orizzonti, non esistono limiti. L’anima può arrivare ovunque e oltre l’ovunque. Amplificazione, esaltazione, alterazione.
In breve, sballo totale.
Sballo, sballo totale…
E con la musica a fluttuare è possibile viaggiare ancora e ancora…
Parole, queste, che appaiono poetiche, bizzarre e stravaganti. Perdonatemi, ma non saprei esprimere meglio i concetti del rock psichedelico, più pensiero che genere musicale, che trovò massima forma tra i sessanta e i settanta, contemporaneamente negli States e in Inghilterra.
Veniamo subito al dunque: le esperienze determinate dall’assunzione di sostanze allucinogene e fortemente alteranti come l’LSD, la cannabis, la mescalina o la psilocibina dei funghetti stimolarono ogni aspetto del movimento. Ebbene sì, droga al servizio del rock and roll e viceversa…
L’intento era quello di far nascere tra musicisti e ascoltatori un legame profondissimo, viscerale, un rapporto impossibile da instaurare realmente senza la nebbia estrema derivata dagli stupefacenti. Il tutto si presentava come una sorta di rito sciamanico, a tratti esoterico, accompagnato da suoni esasperati, tonnellate di effetti, di echi, di rumori o di voci.
I primi segnali di questa acidissima ondata arrivarono nei primi sessanta, per poi trovare definitivamente spazio, per esempio, grazie alle musica dei Byrds del grande David Crosby. La celebre Eight Miles High, contenuta nell’album del ‘66 Fifth Dimension, è una chiara testimonianza. Il suono ipnotico, il sapore orientaleggiante, le armonie quasi celestiali e i riferimenti metaforici, riconducibili a un aspro trip, non ammettono repliche.
In America l’esplosione del movimento regalò alla storia i Grateful Dead, i Jefferson Airplane (Surrealistic Pillow del 1967 è un gioiello del genere) e ovviamente i Doors, capitanati da sua maestà Jim Morrison, il maledetto per eccellenza. Oltreoceano, in terra britannica, iniziarono invece le avventure dei Cream, dei Soft Machine e, tenetevi forte, dei Pink Floyd. Ripeto, Pink Floyd. Tantissima carne al fuoco, nomi che hanno scritto letteralmente la storia, cambiandone per sempre le regole, lo spirito, l’essenza. Il background, la scelta stilistica e la proposta caratterizzavano ogni gruppo, ma lo spirito allucinato, etereo e assuefatto poteva essere considerato un denominatore comune. La sperimentazione artistica toccò vertici unici e irripetibili, spingendo il suono verso frontiere inimmaginabili. Chiaramente anche i Beatles rimasero affascinati dal flusso psichedelico e, dopo aver abbozzato diverse nuove idee in Revolver, pubblicazione del 1966, sfornarono il capolavoro dei capolavori, la fatica delle fatiche, l’incredibile Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, da molti considerato il disco più importante in assoluto. E come non essere d’accordo, dopo aver ascoltato A Day in the Life, Lucy in the Sky with Diamonds, Fixing a Hole o Getting Better.
Il fenomeno della psichedelia rock divenne inarrestabile, contaminando più o meno tutti i protagonisti del periodo. Oltre alle formazioni o ai dischi già nominati è bene ricordare anche gli Holy Modal Rounders, duo portavoce dell’acid folk americano, Pet Sounds dei Beach Boys, parte del lavoro di Bob Dylan o di un super David Bowie, che con il brano Space Oddity ridisegna il cosiddetto space rock tanto amato da Syd Barrett e dai primi Pink Floyd.
Senza star qui a scomodare l’epicità del Festival di Woodstock, agosto 1969, vetta assoluta del pensiero hippie e dell’espressione musicale di cui tutti almeno una volta hanno sentito parlare o di cui hanno voluto parlare, è doveroso ricordare l’Exploding Plastic Inevitable, ideato dal re della pop art Andy Warhol. Presentato nel ‘66 al Trip, club di tendenza losangelino, lo spettacolo non fu altro che un concentrato estremo di cultura psichedelica. Di fatto, per l’occasione, vennero proiettate pellicole indipendenti, tra le quali ovviamente quelle prodotte dallo stesso Warhol, e proposte danze erotiche, provocanti e addirittura sadomaso. A infiammare ulteriormente il tutto l’utilizzo spropositato di effetti stroboscopici e l’assunzione di LSD. La colonna sonora dello show fu affidata ai mitici Velvet Underground del tanto compianto Lou Reed che, con la cantante tedesca Nico, segnarono un’epoca controversa e allo stesso tempo impareggiabile. La band, tra le più innovative e influenti di sempre, nei testi delle canzoni infilò in maniera più esplicita che mai racconti di alienazione metropolitana, di perversione e di abuso tossico.
Difficile riassumere in un solo articolo tutto ciò che più o meno nel ventennio in questione accadde, più che difficile. Di sicuro la storia della musica ha gioito eccome per la grandezza e soprattutto per la qualità degli artisti sui fiammeggianti palchi del periodo.
Cosa sarebbe successo senza la droga? Non saprei rispondere. Nessuno saprebbe rispondere. Un grande musicista sarebbe comunque un grande musicista, una bella canzone sarebbe comunque una bella canzone e un ascoltatore riuscirebbe ad ascoltare anche senza essere sballato.
Cosa sarebbe successo senza la droga? Nessuno saprebbe rispondere. Uno sballo totale.

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