Il signoraggio debutta su rai due: qualche precisazione | Luigi Pecchioli

C’è voluto Carlo Freccero perché nell’informazione della RAI entrassero temi economici che non fossero i soliti mantra liberisti alla Giannino o alla Cottarelli.

Il programma Povera Patria ha debuttato su Rai 2 il 25 gennaio con un servizio sul signoraggio che ha scatenato reazioni e polemiche furibonde, piuttosto esagerate. La “lesa maestà” rispetto alla consolidata comunicazione in tema economico, tutto a base di sprechi, corruzione, necessità di riforme ed euro che ci ha fatto bene, ha colpito sul vivo parecchi economisti, o supposti tali, che si sono fatti sentire sui social e sui giornali “amici”, come Repubblica. Ma cosa è il signoraggio e perché un breve servizio a schede animate di pochi minuti ha avuto questo effetto?

Per capirlo vediamo di capire di cosa si parla e quale importanza assume realmente nell’economia monetaria di un Paese.

Il signoraggio, come dice la parola stessa, non è altro che l’aggio del signore, ovvero storicamente la tassa che chiunque voleva battere moneta doveva pagare al signorotto locale o al re. Questi infatti erano i padroni del conio, ossia lo stampo con l’effigie del sovrano che serviva a trasformare l’oro o l’argento in moneta di uso corrente. Per poter utilizzare tale conio chiunque voleva battere moneta doveva lasciare una parte del proprio metallo prezioso al proprietario del conio, il signore, quale pagamento dell’uso. Questo era appunto il signoraggio.

Tale termine è poi diventato genericamente il costo che ogni emittente di moneta ricarica sui richiedenti (di solito banche), attualmente rappresentato dal tasso di interesse che i titoli di Stato, dati come sottostante a garanzia del denaro ricevuto, fruttano all’emittente. Nella UE il signoraggio spetta alla BCE, negli Stati sovrani spetta alla Banca Centrale, in ambedue i casi il guadagno da signoraggio viene riversato allo Stato, detentore originario del potere di emissione, nel caso della BCE versando il guadagno, detratto le spese di funzionamento dell’Istituto, pro-quota alle banche centrali dei Paesi della UEM che a loro volta lo riversano al Tesoro.

Il signoraggio quindi se è un costo per le banche, il cosiddetto “costo del denaro” è un guadagno per gli Stati. Su questo punto la scheda diffusa dalla trasmissione “Povera Patria” sbaglia, considerando il signoraggio la differenza fra il valore facciale della banconota stampata e il suo costo di stampa e definendo guadagno tale differenza, non considerando tra l’altro che le banconote in Italia rappresentano più o meno l’11% della massa monetaria circolante, quindi una percentuale irrilevante.

Se il signoraggio non è il problema che ha causato l’accumulo del debito pubblico, come invece suggerito dal filmato, allora perché ha scatenato reazioni così forti? Bastava chiarirlo, magari con un articolo su un giornale, e il fatto si sarebbe sgonfiato. Invece è scoppiata la bufera. Come mai?

Il fatto è che, anche se in maniera erronea, parlare di signoraggio ha introdotto il tema di chi ha il potere monetario e di quanto questo potere, non previsto in Costituzione, possa limitare o addirittura eliminare in pratica i poteri dello Stato quindi la sua sovranità. Cominciare a far passare al grande pubblico il messaggio che una Banca Centrale indipendente – oltretutto resa tale con un blitz ministeriale, senza passare dal controllo e dalla approvazione del Parlamento – diventa un potere che condiziona il costo del debito pubblico e che persegue sue politiche, anche in contrasto con quelle del Governo e che l’esplosione negli anni ’80 del debito pubblico lo si deve, non tanto a spese folli e corruttele o al fatto che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, ma al peso degli interessi per il suo finanziamento, significa iniziare a colpire le fondamenta della narrazione con cui ci hanno indottrinato tutti questi anni per far passare il messaggio che le riforme del lavoro, abbattendo i diritti dei lavoratori, e i tagli alla spesa pubblica, erodendo i diritti alla salute, alla sicurezza, all’istruzione e al welfare, fossero dolorose, ma necessarie, perché avevamo avuto troppo e quindi speso troppo.

Cominciare a parlare di euro in termini di costo economico e di ragione di crisi, invece che di opportunità (non colta), perché l’euro ci difende dall’inflazione e ci permette di pagare bassi interessi (e infatti siamo da anni in deflazione, che è peggio, e per questo paghiamo interessi reali molto onerosi, senza contare che la discesa dei tassi è stata mondiale ed era cominciata ben prima dell’euro…), significa iniziare a demolire un mito, in nome del quale siamo arretrati economicamente di vent’anni e per colpa del quale abbiamo perso il 30% del nostro tessuto produttivo.

Chi ha vissuto e prosperato su questa narrazione non può accettare che in televisione si cominci a mostrare un’altra realtà, si possa intravvedere il vuoto dietro la facciata dell’Unione monetaria. Da qui le reazioni scomposte.

Ripeto: il servizio era impreciso e per alcuni aspetti fuorviante, ma ha aperto una breccia. Sta a chi può cominciare ad allargarla con temi più corretti e realistici, perché tanto poco ci vorrebbe per smontare il castello di fandonie economiche propagandate finora, senza opporre errori a errori.

Su Meglio di niente faremo attenzione ai prossimi temi che tratteranno in trasmissione, per ampliarli o per correggerli, sempre per darvi l’informazione più corretta, perché solo così nasce la consapevolezza che è necessaria per cambiare le cose.

Alla prossima.

Luigi Pecchioli @lupecchioli

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