La lavatrice è ben più antica di quanto si possa pensare. La prima macchina per lavare pare sia datata 1767 e fu creata da un teologo di Ratisbona ( Germania). L’inventore, Jacob Christian Schäffern, aveva costruito un apparecchio con una rudimentale centrifuga azionata a mano. La centrifuga è un dispositivo che, ruotando, separa i solidi dai liquidi (in questo caso i panni dall’acqua che li lava) grazie all’azione della forza centrifuga. Secondo altri, pare che il prototipo di questa macchina risalga addirittura a un secolo prima, il 1677. Si dice che John Hoskins, nobile inglese, abbia creato un sistema per lavare i panni con un cestello di corda intrecciata che veniva fatto ruotare a mano sotto un getto d’acqua. La lavatrice più simile, per funzionamento, a quella moderna è considerata la macchina costruita nel 1860 dall’inglese Thomas Bradford. Questa “proto-lavatrice”, ossia lavatrice preistorica, aveva una gabbia ottagonale in legno (una sorta di cestello), inserita in una scatola più grande, sempre in legno, riempita di acqua saponata. Per azionare il tutto si usava una manovella che faceva ruotare nell’acqua la scatola più piccola. L’anno dopo, a questo marchingegno venne aggiunto uno strizzatore a rullo. Secondo altri storici, però, il titolo di inventore della lavatrice spetterebbe non a Bradford ma all’americano William Blackstone, un mercante che aveva particolarmente a cuore le fatiche domestiche di sua moglie. C’è poi chi sostiene che una delle prime lavatrici sia stata realizzata in legno. Infatti, nel 1874 regalò alla moglie, per il suo compleanno, un barile di legno da riempire con acqua calda e sapone. All’interno del barile c’era un perno dotato di pioli che, ruotando, muoveva i panni e li lavava. Anche in questo caso l’azionamento della lavatrice era manuale. Da buon mercante, Blackstone fiutò subito la bontà commerciale della sua invenzione e la mise in commercio diventando, nel giro di pochi anni, il primo produttore di lavatrici. Da quel momento in poi, alla lavatrice vennero apportati miglioramenti successivi come quello, importante, che nei primi anni del Novecento fece sostituire le vasche di legno con il metallo. La vera e propria rivoluzione della lavatrice avvenne, però, nel 1906 quando Alva Fisher costruì la prima lavatrice elettrica. Un’idea che eliminava la fatica di azionare a mano quella macchina piena di panni e acqua. E se le donne cominciarono a risparmiare fatica, quasi nello stesso tempo cominciarono a…rischiare la vita! La lavatrice di Fisher, infatti, aveva un difetto non trascurabile: il motore elettrico non era ben isolato dal cestello e, spesso, riceveva spruzzi d’acqua, che causavano cortocircuiti e pericolosissime scosse elettriche a chi toccava l’elettrodomestico. E in Italia? Il prof Gennaro De Crescenzo ci segnala che la prima lavatrice italiana “moderna”, tra le prime in Europa funzionante con un motore fu costruita e installata nel Regno delle Due Sicilie, a Napoli, nel 1851 su modello brevettato di Luigi Armingaud. Era una macchina enorme, capace di lavare fino a 1.000 camicie e oltre 2.000 lenzuola. Secondo la descrizione che ne fa un libro conservato nell’Archivio di Stato di Napoli (Disamina eseguita dal Reale Istituto d’Incoraggiamento de’ saggi esposti nella solenne mostra industriale del 30 maggio 1853, Napoli, 1855), “l’apparecchio da far bucato già da molto tempo occupava la mente de’ tecnici perché considerevole è la mano d’opera, grande il tempo e la spesa richiesta, specialmente nelle pie case di pubblica beneficenza per la nettezza e la conservazione della biancheria. L’apparato del sig. Armingaud si compone di caldaja per la produzione del vapore; di grandi recipienti che sono a’ suoi lati, dove va riposta la biancheria, quindi vi sono chiavi per l’immissione del ranno, altre per rendere indipendente l’uso dell’un recipiente dall’altro, e via innanzi. Uno di tali apparati è in pratica son già due anni nel real Alberdo de’ Poveri per 2.000 lenzuole, ed un altro se n’è piantato nell’asilo di S. Maria della Vita e serve per 1.000 camice. I risultamenti sono stati soddisfacentissimi, e quali li aveva preveduti l’abile costruttore”.

Fonte: Gennaro De Crescenzo, Le industrie del Regno di Napoli, Napoli, 2002

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