MDN

Ossobuco

«Difficile inquadrare questo giovinotto, persuaderlo che non avesse nemici come ostinatamente credette fin dal suo affacciarsi nella Juve scudettata del pacioso boemo. Quanto lungo il passo da Terni romita a Torino austera e crudele; e l’emulazione, lotta al coltello tra sorrisi e mugugni con i colleghi per il posto in squadra, lo vide sconfitto. Terzino con sinistro e scatto rapace, saprà recuperare moderando gli impulsi nativi. Curando il destro attingerà la completezza tecnica», così descriveva Longobucco il sommo Vladimiro Caminiti.
Nasce a Scalea, provincia di Cosenza il 5 giugno del 1951: «Il pallone era il mio sogno, tanto che a quindici anni mi beccai una squalifica, perché non avevo l’età per giocare in Prima Categoria. Arrivare in Serie A era il mio desiderio, ma la verità è che ho fatto una fatica tremenda a stare lontano dalla mia terra. A quattordici anni mi prese il Torino e mi mandò ad Asti. Dopo nove giorni era già sul treno per la Calabria. La nostalgia mi ha divorato. Anche quando sono andato alla Ternana».
Nella squadra umbra gioca ottime partite; schierato da terzino o da stopper, è implacabile a marcare l’attaccante di turno: «Mi ricordo ancora il primo provino, una mezza comica. Da bravo ragazzo del Sud mi ero portato le scarpette con la suola in gomma. Da noi si giocava su campi in terra battuta, erba nemmeno a parlarne. Invece a Terni il campo era verdissimo. Non stavo in piedi. Ogni volta che dovevo fare uno scatto lasciavo delle buche per terra. Dopo venti minuti qualche anima pia mi procurò un paio di scarpe con i tacchetti. Il provino andò bene. Ma nel primo mese tentai per tre volte di scappare. Poi mi sono rassegnato. Alla Ternana sono rimasto due stagioni. Ho giocato tantissimo tra De Martino e Prima Squadra. Ma il desiderio era sempre di tornare a casa».
Poi, arriva la chiamata della Juventus: «Ed io lo seppi dalla radio! Sembra incredibile, ma è cosi. Stavo facendo il CAR (periodo di addestramento militare) a Orvieto, ma mi trovavo all’ospedale militare di Perugia. Dovevo andare al Vicenza. La Ternana aveva fatto tutto con Romeo Anconetani che a quel tempo faceva il mediatore. E invece ecco la Juventus! Gioia mista a tanta paura. Un po’ per tutto. Dal lato professionale, perché non mi sentivo ancora all’altezza della Juve. E poi perché andavo dalla parte opposta della Calabria. Il primo mese bianconero l’ho passato da imboscato. Sono stato l’oggetto misterioso della Juve per qualche settimana. Ho sfruttato una serie di coincidenze per ritardare il mio arrivo a Torino. Devi sapere che la Ternana non aveva detto nulla alla Juve che ero militare. Chissà, forse credevano che questo avrebbe potuto ostacolare il trasferimento. E allora si inventarono che stavo in villeggiatura in un imprecisato campeggio con amici. Ho saputo dopo che i dirigenti juventini mi hanno cercato dappertutto. E quando mi hanno trovato hanno scoperto la verità».
È appena stata costituita la squadra che promette sfracelli, ci sono già i Bettega e i Furino, i Causio e i Morini, i Cuccureddu e i Capello. Non c’è ancora Zoff, ma sarà questione di poco. Longobucco deve fare anticamera ma non ci sono problemi; Vycpálek si accorge subito che c’è del talento in questo ragazzo dal cognome scorbutico come il suo destro, essendo, nel piede mancino, riposte tutte le velleità di successo. Carmignani portiere, Spinosi e Marchetti terzini, Morini stopper. Non c’è spazio, chiaramente, nell’undici di partenza, per Ossobuco, come viene soprannominato da Haller, ma a Silvio la pazienza non manca. La Juventus va avanti per la sua strada, inanellando partite capolavoro e risultati da primato. Il campionato si gioca in volata e, nella volata, entra in scena anche Silvio Longobucco.
Fatalità, un pizzico di fortuna, che quasi sempre è unita a un po’ di sfortuna altrui. Marchetti e Furino, dopo la vittoriosa partita con il Cagliari, sono squalificati; alla vigilia della delicatissima trasferta di Firenze, penultima giornata del torneo, Vycpálek si affida al ragazzo calabrese, che ha saputo attendere in silenzio, preparandosi con scrupolo in ogni allenamento come se fosse la finale di Coppa dei Campioni. È il 21 maggio 1972, data fatidica. La Fiorentina prima vince per un goal di Merlo e poi è raggiunta nella ripresa. Pareggio risicato, ma un punto d’oro. Longobucco non delude le attese; ci mette una grinta decisamente fuori dalla norma, conquista un po’ tutti, a cominciare dal mister più pacioso e ottimista che mai. Si merita la conferma, nella giornata di grande festa che si va preparando. 28 maggio 1972, Juventus-Vicenza: Longobucco esordisce di fronte al pubblico torinese, che è folla come da tempo non si vedeva. Migliaia di bandiere per lo scudetto numero quattordici, il Vicenza è liquidato e Longobucco ancora tra i migliori.
Ossobuco è confermato nella Juventus, che tenta la grandiosa accappiata campionato e Coppa dei Campioni: «C’era Zoff, un campione di serietà, anche troppo! Mentre noi avevamo già fatto la doccia, lui era ancora in campo ad allenarsi. Poi c’era Causio, la prima donna. Sempre impeccabile, da vero barone. Lui e Morini erano i protagonisti della sfida del pullman. Vinceva chi saliva per ultimo sul pullman. Il farsi attendere aumentava il prestigio! E poi c’era Haller, un gaudente. Si fece beccare durante una trasferta all’estero, perché lasciò le sue generalità all’ingresso di un night. I dirigenti lo presero quasi con le mani nel sacco. Ma che squadra, però. Tre scudetti in quattro anni!».
Parte alla pari con gli altri titolari della difesa e, dunque, l’attesa sarà più breve e meno sofferta. Dodici presenze al tirar delle somme, un discreto bottino. Ma c’è di più, c’è la Coppa dei Campioni, con le sue serate magiche. E il 7 marzo 1973, anche Silvio da Scalea trova un posticino, nella gara interna con l’Újpest Dósza. Altro esame superato a pieni voti, a conferma del talento e del temperamento del ragazzo. A Derby e nella finalissima di Belgrado contro l’Ajax ci sarà di nuovo spazio per lui. Purtroppo, per il buon Silvio, la sua immagine tramandata ai posteri è la tristemente e famosa capocciata di Rep che, dopo pochi minuti dall’inizio della finale, lo sovrasta, inventandosi una specie di pallonetto che beffa Zoff: «L’Ajax era fortissima, fu sbagliata la scelta di stare chiusi in ritiro per giorni interi dentro una vecchia fortezza. Rep ebbe grande fortuna, oltre ad essere stato scorretto. Mi tenne giù coni il braccio sinistro ed io non riuscì a saltare. Goal da annullare. Ma non andò così».
Dopo la grande delusione, inizia la stagione 1973-74, sempre più difficile per la Juventus, incontrastata protagonista degli ultimi due scudetti e quindi osservata speciale dalla concorrenza. Longobucco trova spazio addirittura dalla prima giornata, che coincide con una stentata vittoria a spese del Foggia. Oramai, è pedina fondamentale nella retroguardia che ha in Zoff e nel tandem Morini e Salvadore i suoi cardini di classe ed esperienza. Giocando accanto a simili campioni, anche Longobucco migliora il suo bagaglio tecnico e affina il proprio senso tattico, rivelandosi difensore irriducibile nella marcatura stretta, ma anche capace di inventare divagazioni offensive, magari rifinite con il suo efficacissimo sinistro: «Difendevo e attaccavo. Coprivo tutta la fascia. E spingevo tantissimo. Ricordo sempre Oscar Damiani che mi implorava di non correre con la sua “R” moscia. Ho marcato anche Bettega. La prima volta che l’ho incontrato è stato in Ternana-Varese, campionato di B, stagione 1969-70. Era il giorno del mio esordio, arbitrava Concetto Lo Bello e la partita fu ripresa dalla TV. L’allenatore mi mise in marcatura su di lui. Dico solo una cosa: meglio averlo avuto come compagno Bettega. E l’ho apprezzato molto, sotto tutti i punti di vista, nonostante la sua fissa per Lucio Battisti. Ci faceva una testa così con le sue canzoni. Le sapeva tutte. Un martello».
In una stagione meno prodiga di entusiasmi e soddisfazioni per l’ambiente bianconero, raggiunge ben ventiquattro presenze in campionato, mentre il suo ruolino di marcia internazionale subisce forzatamente uno stop, per l’eliminazione patita dalla Juventus nel turno iniziale di Cappa dei Campioni.
E siamo al 1974-75, nuovamente trionfante per la squadra affidata a Parola. Con l’arrivo di Gentile e Scirea, la retroguardia juventina aumenta il numero e la consistenza dei suoi uomini di talento e la concorrenza per il posto diventa agguerritissima. Longobucco non riesce, anche per questo motivo, a ripetere l’exploit della stagione precedente e deve accontentarsi di una decina di apparizioni. Quanto basta, comunque, per confermare appieno il suo valore, oramai confortato da un mestiere rifinito, occupando tutti i ruoli di marcatore, sia centrale sia di fascia: «Ufficialmente, andai via perché gli spazi in difesa si erano ridotti. Ma io, con il senno di poi, credo abbia inciso anche l’episodio del cazzotto dato a Gorin del Milan: Juve-Milan, marco Gorin che è il sette dei rossoneri. Mi provoca per tutta la partita e mi dà un cazzotto non visto da nessuno. Io aspetto il momento giusto e mi vendico. Per sfortuna gli spaccai la faccia e uscì in barella. In seguito mi scusai con lui, ma contro di me si scatenò una campagna di stampa dai toni vagamente antimeridionali o leghisti se preferite. Anche Gianni Brera non si risparmiò. La sera alla “Domenica Sportiva” ci fu un testa a testa con Bettega che prese le mie difese».
La non breve vicenda bianconera di Silvio Longobucco si esaurisce qui. Oltre una sessantina di presenze in campionato, una manciata di gettoni in campo internazionale, E, soprattutto, tre scudetti. Un ritratto tutt’altro che sbiadito.

Fonte: http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/06/silvio-longobucco.html?m=1

Leave a Reply

Area Riservata