A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Proposta criptica e allo stesso tempo originale, olre che visionaria, quella impacchettata dal duo Letatlin. L’ultimo Seaside è uno di quei dischi tosti, che richiedono tempo e attenzione, ma che una volta metabolizzati restano in circolo, ti portano a pensare cose. Scintille post punk come punto base, poi si viaggia davvero; entra in gioco l’elettronica, entra in gioco l’effetto sorpresa e si materializzano paesaggi di varia e personalissima natura. I due musicisti sperimentano al massimo, ma con la testa giusta in fase di montaggio e di assemblaggio. Difficile decifrare realmente Seaside e sono certo che molte altre cose verranno a galla ascolto dopo ascolto. Che dire, situazioni che si accendono quando si parla di grandi album. Proviamo a entrare allora nel mondo, nel contorto mondo Letatlin, parlando direttamente con i ragazzi.
Ciao, ragazzi, benvenuti. Prima di parlare del nuovo disco giusto presentare i Letatlin
Letatlin nasce a fine degli anni ‘90 a Roma. Eravamo inizialmente quattro e poi, dopo vari cambi (alla batteria e al basso), siamo rimasti in due: Marc mal de Vivre e Hans Plasma. Noi due componiamo, suoniamo e cantiamo tutto quello che senti nel disco. Quando abbiamo iniziato ci piacevano principalmente il post punk, il noise e la new wave. Oggi tutto questo è più sfumato sebbene presente.
Seaside è sorprendente, è un lavoro originale e per certi versi unico. Quando l’ho ascoltato, la voglia di saperne di più ha preso il sopravvento. Ed eccoci qui, allora. Come è nato questo album?
È il nostro quinto disco. Esso ha avuto una genesi forse anomala, che è coicisa con la chiusura sociale forzata che tutti hanno vissuto. I pezzi crediamo ne abbiano risentito, essendo tutti storie chiuse, finite in sé, solitarie e indipendenti le une dalle altre. Non c’è un concept dietro questo album.
Non è un disco di facile comprensione. Credo siano necessari diversi ascolti per entrare nel vostro discorso. Una volta dentro però la bontà della proposta appare evidente e personalissima. Quando parlate di landscape post punk, definizione tra l’altro strafiga, cosa intendete?
Come l’ambient music vorrebbe essere un mood, un’atmosfera che ci accompagna durante un periodo di tempo X, così i nostri landscape post-punk sono atmosfere che immergono lo spazio con visioni e immagini molto più vivide e meno astratte dell’ambient.
Ascoltando i vari brani si viaggia davvero. Un trip energico, perpetuo ed elettronico, capace di proiettarti altrove. Direi, missione compiuta. Suppongo che per partorire materiale di questo tipo sia importante abbandonare ogni schema per lasciarsi guidare soltanto dall’istinto, dal suono, dall’immaginazione. Sbaglio o è così?
Non siamo così istintivi come descrivi. Certo l’idea del pezzo è spessissimo generata da intuizioni momentanee, ma poi tutto il lavoro di assemblaggio e stilizzazione richiede meno istinto e più ragione. Direi che dietro la nostra musica ci sono due fasi molto staccate. Ci piace fra l’altro assemblare “a freddo” famiglie sonore molto distanti. Questo, chiamiamolo attrito fra differenti atmosfere, ci interessa molto. Usiamo collages sonori insomma. A Body With Two Heads avrebbe questo intento.
La componente mentale gioca poi un ruolo fondamentale. La vostra mente al servizio della nostra…
Un po’ di stress per chi ascolta è un’ottima strategia per cogliere l’attenzione. Non pretendiamo di essere “capiti” in quello che suoniamo o diciamo. Ci interessa di più che il pezzo tocchi emotivamente o interessi chi ci ascolta. Dalle tue descrizioni e da i feedback di questi giorni ci sembra che seaside riesca piuttosto bene nell’intento.
Sperimentazione estrema e viaggi profondi. Mi sembra il titolo giusto per questa intervista. Ci può stare, secondo voi?
Noi sperimentiamo, ma rimanendo fondamentalmente con una gamba nel “pop”. La sperimentazione psichedelica per esempio intesa come magma di sound astratto o strutturato che spesso si snoda in suites lunghissime non fa per noi al momento. Rimaniamo allegramente agganciati alla forma pop… un po’ strampalata e ritoccata forse, ma oltre i quattro minuti raramente andiamo.
Veniamo alle creature che compongono l’opera. Otto pezzi differenti, psichedelici e magnetici. Cosa accomuna i brani, aldilà del massiccio utilizzo della drum machine o dei synths?
Ci sfugge dove sia la nostra psichedelia, ma va bene, ognuno sente alla sua maniera. Non vogliamo assolutamente essere polemici, ma questo ci dà solo la conferma che la soggettività è inaggirabile, quando si parla di musica. Gli otto brani hanno a parer nostro solo un minimo comune denominatore: l’essere non comunicanti fra di loro. Sono appunto otto storielle chiuse, sole: otto cartoline da paesi differenti. La voglia è quella di fare un post punk (nel senso più ampio del termine) con schegge elettroniche, ma questo è un intento consolidato già da qualche tempo.
Più che altro è l’insieme a sembrarmi psichedelico, intendo dire. Mi riferisco ai giochi sonori e agli effetti che, soprattutto in cuffia, sono stati in grado di sballarmi abbastanza. E poi i testi, gli scenari, le idee… Ovviamente, non ho in mano un disco appartenente alla corrente psichedelica dei ‘70, ma vi assicuro che la mia reazione durante l’ascolto è stata molto particolare… I miei pezzi preferiti sono Don’t Wink At Me e Mexican Serenade, sia chiaro, senza nulla togliere agli altri. Ne parliamo?
Don’t Wink At Me è stato scritto da Marc. Parla dell’inconciliabilità tra il mondo esterno e quello nostro interiore. A volte, quasi coralmente, sembra che ci sia un mood, uno stato d’animo lì fuori mentre il nostro (mood) non sempre coincide con esso… o è il suo opposto. Come la luna che in una delle sue fasi sembra che ci faccia l’occhiolino mentre giù, sulla terra, noi non siamo proprio dell’umore per ammiccamenti vari. Mexican Serenade è una storiella di Hans dal sound decisamente latino-western, ma con visioni diciamo alla Chagall … con umani che partoriscono caproni e la vita che, “per caproni o non caproni”, va a rotoli.
E le vostre preferite del lotto, invece? Ovviamente vorrei sapere anche il perché…
Hans: Seaside non mi stufa ancora. Forse perché è stata risolta proprio alla fine del disco in fase di mastering con l’innesto del testo. Doveva essere strumentale. Poi ci siamo detti che forse bisognava tentare ed è “uscito” a mio avviso (stranamente) molto in fretta e bene. È avventuroso e “marino” mentre il sound è tra surf ed elettronica.
Marc: La Mouche per la leggerezza del suo essere come canzone. The Return Of The Yeti perché, per quanto riguarda la musica, riesce a dare il senso di “desert rock” in versione glaciale che ci eravamo prefissati e perché le parole sorreggono a nostro parere molto bene la musica.
Testi, veniamo ai testi. Dove siete andati a parare questa volta?
I testi seguono il concetto del collage. Questo non significa assolutamente che non vogliano dire nulla. Generalmente partiamo da qualcosa di urgente che vogliamo trasmettere e su questo aggiungiamo a volte frasi che provengono da qualche altra parte (un libro, una frase sentita, un appunto, una sensazione che ci eravamo detti…), ma che in un certo senso rafforzano questa visone che vogliamo dare. Picnic In the Sun è un buon esempio: era nata da una riflessione di Hans sul disagio che può avere una persona con qualche handicap fisico. Mentre la sviluppavamo abbiamo aggiunto frasi stralunate riguardo il viaggio di due gufi che si ritrovano a volare sotto un sole di un altro pianeta… Lo scenario cambia nel corso della canzone: da una stazione dei treni del pianeta terra ci troviamo in una baia nascosta di un’altra galassia, ma è il senso di stralunatezza il minimo comune multiplo fra le due storie, che dà loro un senso, almeno secondo noi.
C’è un cazzo enorme, tra l’altro…
Tu vuoi sapere troppe cose!
I dischi e gli artisti che hanno influenzato il vostro percorso?
Ce ne sono così tanti…
Comunque, per quanto riguarda gli artisti preferiti:
Hans: Suicide, Velvet Underground, Nick Cave.
Marc: Leonard Cohen, Brian Eno (preferibilmente primo periodo), Pere Ubu, Iggy, Battiato.
In quanto a dischi preferiti:
Hans: 154 (Wire, 1979), Swordfishtrombones (Tom Waits, 1983), Haus der Leuge (Einstürzende Neubauten, 1989).
Marc: Fall Heads Roll (The Fall, 2005), The Gospel According to the Meninblack (The Stranglers 1981), Tesla’s Aquarium (Felix Kubin and Pia Burnette, 2000).
Nota bene che la classifica è in continua rotazione/evoluzione e soggetta dunque a cambiamenti da un giorno all’altro, quindi se ci facessero la stessa domanda domani le risposte sarebbero differenti probabilmente.
Cosa state facendo in questo momento?
Siamo presi dalla promozione di Seaside e allo stesso tempo stiamo componendo il prossimo disco. Stiamo anche suonando le canzoni di Seaside per prepararci ad eventuali live.
Dove troviamo Seaside?
Tutte le piattaforme digitali: Spotify, Apple Music, Amazon, Music, Youtube, Youtube Music, Deezer e chi vuole può ordinarlo in formato CD alla (R)esisto Distribuzione
www.resistodistribuzione.jimdo.com
che salutiamo e ringraziamo assieme a Valerio Fisik che ha missato e masterizzato il disco in maniera eccellente come sempre.
Grazie anche a te e alla redazione per l’intervista.