Propensione al consumo e reddito di cittadinanza | Luigi Pecchioli

Premetto che non sono mai stato un fan del reddito di cittadinanza, fortemente voluto dal Movimento 5 stelle e diventato attualmente legge. Le ragioni le ho espresse qui: devo però dire che di fronte a dichiarazioni come quelle di Confindustria ho cominciato a ricredermi, soprattutto perché ho scoperto che potrebbe avere paradossalmente il merito di alzare gli stipendi base piuttosto che deprimerli e comunque perché ha sollevato un problema di lavoro sottopagato, finora passato sotto silenzio.

Visto che sta ormai per partire e dato che questa è una rubrica di economia una domanda sorge spontanea: quali sono gli effetti dal punto di vista macroeconomico del reddito di cittadinanza? Per capirlo dobbiamo esaminare un altro concetto base: la propensione, media e marginale.

Con il concetto di propensione si indica genericamente la misura di quanto un soggetto è disposto a compiere un’azione (spendere, investire, risparmiare, importare, ecc.), dato un certo reddito: qui parleremo di propensione al consumo per cui, ad esempio, se la propensione al consumo di un soggetto è 0,60 vorrà dire che quel soggetto tende a spendere in consumi il 60% del proprio reddito. Questa è la propensione media e si ottiene ex post empiricamente semplicemente dividendo la spesa per il consumo per il reddito disponibile. Lo stesso viene fatto per il risparmio e tutte le altre variabili che dipendono dal reddito.

La formula è questa: C=cY dove c è appunto la propensione media al consumo ed ha un valore fra 1 e 0, evidentemente perché si consuma al massimo tutto il proprio reddito C=1Y=Y o, più difficilmente, nulla C=0Y=0.

Oltre a quella media abbiamo la propensione marginale, che qui ci interessa di più, che sarebbe quanto va in consumo un aumento di una dose unitaria di reddito e che, diversamente da quella media, varia a seconda del reddito secondo un rapporto inverso, in altre parole più il reddito è alto e meno vi è la propensione a consumare un suo aumento. Ciò è abbastanza intuibile, poiché è evidente che più si è benestanti e meno incidono le spese di sussistenza e voluttuarie, quindi un incremento viene in gran parte messo da parte e accumulato.

Possiamo definire questo con la formula ΔC=cΔY e anche qui c varia fra 0 e 1, poiché è difficile che uno diminuisca i consumi all’aumentare del reddito (a meno che non voglia punirsi…) o che spenda di più di quanto è aumentato il reddito, utilizzando parte del proprio risparmio accumulato.

A questo punto abbiamo gli strumenti per capire gli effetti attesi del reddito di cittadinanza (RdC d’ora in poi) e perché, nel breve periodo, potrebbe avere un effetto positivo sull’economia. Poiché il RdC è rivolto a chi non ha un lavoro è intuibile che chi passa da un reddito 0 o vicino ad esso a 780 euro destinerà gran parte della somma a consumi, avendo una propensione marginale molto alta, dovendo soddisfare i suoi bisogni primari, e pertanto l’aumento della domanda di beni e servizi sarà significativo e avrà effetti sul PIL che dipendono dalla velocità di circolazione del denaro e quindi dall’effetto moltiplicatore della spesa. Oltretutto una spesa primaria è più facilmente orientata a prodotti non di importazione (Cina a parte…), per cui più difficilmente porterebbe a uno squilibrio di bilancia dei pagamenti (il saldo fra quanto si esporta e quanto si importa).

Questo effetto positivo potrebbe essere mitigato da quello che possiamo definire “gorgo monetario” ovvero il fatto che le maggiori disponibilità di denaro non vadano tutte in consumi, ma in ripianamento di debiti pregressi e pagamenti di rate, un “gorgo” appunto che risucchia le disponibilità aggiuntive. Quello però che è certo è che, al di là di tutte le considerazioni, una politica di reddito per la fascia più povera avrà comunque più effetto di qualsiasi sgravio fiscale, soprattutto se attuato per le fasce medio-alte, caposaldo della classica politica liberista, definito come “trickle down”, traducibile come “sgocciolamento”, basato sull’assunto che più soldi in tasca ai ricchi significa a cascata maggiori redditi anche per le altre fasce, per l’aumento di consumi e spese dei primi. Come ci dimostra la teoria e i dati empirici della propensione marginale al consumo, l’aumento di reddito dei benestanti si trasforma soprattutto in risparmio e accumulazione. Inoltre, come plasticamente disse un mio conoscente “i ricchi saranno ricchi, ma sempre un culo hanno”, volendo significare che, per quanto possano consumare e spendere non potranno mai farlo, in quantità di beni, quanto la massa dei meno abbienti.

Il RdC pertanto, pur rischiando nel medio periodo di diventare una trappola assistenziale che permette di tenere bassi i salari e sedare le spinte a migliori condizioni, nel breve periodo può essere una salutare scossa all’economia che è in crisi proprio per la mancanza di domanda di beni e servizi, sia del settore pubblico che del settore privato.

Vedremo già quest’anno quali saranno gli effetti.

Alla prossima.

Luigi Pecchioli @lupecchioli

 

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