Rockology

SANTANA di Emilio Aurilia

Di Emilio Aurilia

 

Samba pa ti” è forse e senza forse uno fra i brani tuttora più trasmessi da parte dei canali audiovisivi ufficiali e non, dal remoto anno della sua pubblicazione (1970) sull’album “Abraxas”; ma come avviene per moltissimi fenomeni musicali e non, di un certo livello, tutti ne riconoscono la melodia nei particolari più dettagliati, ma non tutti sanno titolo e nome dell’esecutore.

La morbida chitarra sinuosa, sorretta da un delicato ricamo di congas, imprimendo un caldo lento pastoso per buona parte della sua durata, per poi sfociare in un ritmo più mosso dal sapore latino, ha saputo creare uno dei capolavori della pop music.

Opera dei Santana, una delle band più longeve, ancora in vita dalla sua costituzione nel 1969, formata al tempo dal chitarrista Carlos Santana coadiuvato da Dave Brown (basso), Greg Rolie (tastiere) e i percussionisti  Mike Shrieve (prevalentemente alla batteria), Josè Chepito Areas e Michael Carabello, per poi cambiare radicalmente negli anni a venire ad eccezione del suo fondatore annoverando, fra gli altri, Neal Schon (seconda chitarra), Tom Coster e Richard Kermode (tastiere), Doug Rauch e Tom Rutley (basso), Hedley Caliman (sax e flauto), Rico Reyes, Coke Escovedo e Armando Peraza (percussioni), e tanti ancora, come il gruppo dell’altro Santana, Jorge con i suoi Malo, cui già abbiamo dedicato recente spazio.

Almeno i primi album sono permeati da un sound basato sul rock grazie appunto al massiccio uso predominante della chitarra distorta del leader che ne costituirà il segno distintivo, sorretto  da una efficace base percussiva di congas, timbales e maracas (oltre all’ovvia batteria) e dalle brillanti tastiere di Rolie, all’inizio a pestare prevalentemente i tasti dell’Hammond.

Ma all’indomani della pubblicazione del loro terzo album (“Santana III”) e dopo un fortunato live con Buddy Miles, la frequentazione di Carlos Santana con il leggendario chitarrista John McLaughlin, che lo introdurrà alla meditazione buddista (non abbiamo certezze sulla conversione) da fargli acquisire l’attributo “Devadip”, genera, oltre che alcuni album in proprio (“Love, Devotion, Surrender”), anche la graduale modifica del sound del suo gruppo a cominciare da “Caravanserai” (1972), seguìto da “Welcome” (1973) e  “Borboletta”(1974) che annovera brani di Ayrto Moreira e Dorival Caymmi, in cui l’esplosivo latin rock cede quasi totalmente il posto ad un suono più morbido e meditativo provvisto di moltissime sfumature jazz, da non riuscire quasi a riconoscerne la band di “Black Magic Woman”, la woodstockiana “Soul Sacrifice” e il fantasioso cha cha cha “Oye como va”.

Negli anni seguenti Santana ha cercato di bissare lo strepitoso successo di “Samba pa ti” tramite la realizzazione di altri lenti strumentali di eguale ispirazione come “Song of the wind” o “Inspirations” che non riusciranno ad avere eguale impatto emotivo, tanto da spingere  qualche maligno critico ad affermare velenosamente una acquisita  parentela del Carlos con Santo & Johnny!

Il nostro, tornato alla formula originaria latin rock, continua tuttora sia in proprio che col gruppo (in cui sono ritornàti alcuni componenti degli esordi), realizzando prodotti molto più attenti alle classifiche, sfruttando al massimo la miscela degli spumeggianti risaputi ritmi, anziché creare qualcosa all’altezza dei gloriosi inizi.

 

 

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