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UOMO ORDINARIO Ozzy e il suo ultimo disco

Di Riccardo Gramazio

 

Un addio, si legge in rete e sulle riviste specializzate, un triste saluto al rock, alla musica e ai fans. La fine di una storia folle e incredibile, firmata da uno dei personaggi più trasgressivi, carismatici ed eccentrici di sempre. Per tanti, forse per tutti, è il grande padre dell’heavy metal, l’innovatore per eccellenza del genere, colui che ha conquistato migliaia di persone, ma che tanto ha fatto discutere e indignare religiosi, bigotti, tradizionalisti, animalisti e conservatori. E lasciamo perdere gli eccessi, le stravaganze e i problemi con la legge. Navigo e apro pagine, allora. Un addio, continuo a leggere, un epitaffio vero e proprio. In parole povere un’iscrizione sepolcrale con tanto di commoventi e struggenti lodi. Nel frattempo, ovvio, ascolto per la prima volta questo tanto atteso Ordinary Man, dodicesimo sforzo in studio di Ozzy Osbourne, fresco fresco di pubblicazione. Sapete cosa vi dico? A me sembra tutto fuorché un album carico di rassegnazione o di messaggi di resa. Okay, siamo d’accordo, l’amatissimo principe delle tenebre, in termini di salute, non se la sta passando affatto bene. Per forza di cose, i cattivi pensieri balzano fuori dalle canzoni come conigli, o meglio ancora, come pipistrelli dal cilindro. Tour prorogati, lunghe convalescenze, forze difficilmente recuperabili e il morbo di Parkinson, quel maledetto problema, tutte situazioni da gestire e che stanno sicuramente tormentando un uomo, un classe’48, e mettendo in discussione il futuro. Il disco è uscito ieri, 21 febbraio 2020. Da bravi, fate voi i conti. Non stiamo parlando di un ragazzino, ma nemmeno obbligatoriamente di un ultimissimo respiro. Sto sbagliando? Sarà, ma io non ho alcuna certezza, nel bene e nel male. Fate una cosa. Gettate le sfere di cristallo che avete tra le mani. A mio avviso, non funzionano così bene…
Ordinary Man è un ottimo album, completo, colmo di spunti interessanti, di sfumature malinconiche e di ricordi personalissimi. C’è energia, ma c’è anche riflessione. Analizzando i testi, è infatti possibile considerare il progetto come una sorta di diario nudo, crudo e onesto. Al servizio dello storico cantante inglese, il basso di Duff McKagan (Guns N’Roses), le corde multiuso di Andrew Watt e la batteria di Chad Smith (Red Hot Chili Peppers). E poi troviamo gli interventi alle chitarre di Slash e di Tom Morello, grandissimi entrambi, e le voci di Elton John (anche al piano), di Post Malone e di Travis Scott. Tanti ospiti illustri, che hanno contribuito a rendere l’opera davvero importante, elegante e ben strutturata. Il disco presenta realmente parecchi riferimenti alla Grande Fine, inutile girarci intorno, ma nel corso della sua lunga carriera quante volte Ozzy ha tirato in ballo la morte, il senso dell’epilogo, l’inferno o l’oscurità? Blizzard of Ozz, esordio solista e grande successo del 1980, basta e avanza per testimoniare la direzione presa dalla penna di Osbourne. Suvvia, l’artista non ha mai parlato di fiorellini o di cuoricini, e ci ha sempre abituati a un certo tipo di tematiche. Abbiamo cento milioni di dischi venduti, pezzi Black Sabbath compresi, pronti a confermare quanto detto. Certo, avvicinandosi al triste traguardo, un individuo tende inconsciamente a enfatizzare i concetti e a difendersi, esorcizzando il più possibile il vortice amaro dell’inquietudine. E come si combatte davvero la paura? Guardandola dritta negli occhi, stuzzicandola e magari provocandola. Avverto più o meno questo tipo di proposito, ascoltando le tracce che compongono il lavoro, questo gran bel lavoro. Ozzy guarda il mondo e soprattutto sé stesso. E’ pieno di dubbi, come tutti, ma sfida ogni cattivo presagio in pieno stile rock and roll, in pieno stile heavy metal. Il singolo Under the Graveyard, la convincente Today is the End o la gagliarda Scary Little Green Men (forse la mia preferita) rendono alla perfezione tali sentimenti. Testi cupi, oscuri e macabri, ma grandissimo impatto sonoro, ritornelli accattivanti e frasi musicali eccellenti. Si rimane svegli e ci si carica di brutto. In sostanza, hard rock suonato bene, molto bene, e diversi trucchi del mestiere da apprendere e possibilmente da tramandare alle nuove generazioni.
Tanta grinta, ma spazio anche alle ballate. Molto belle, per esempio, Holy for Tonight, suggestiva e poetica immagine di un uomo solo e perso in una metaforica notte, o la title track eseguita in coppia con il già citato Elton John, racconto dal sapore british di una vita ben fuori dagli schemi e lontanissima dalla normalità. Ozzy sa di non essere stato un buon esempio, non lo nega nemmeno oggi, bensì lo canta. In fondo, giusto o sbagliato, andarsene come un uomo qualsiasi è l’ultima cosa che vuole.
Ecco le sue parole:

Yes, I’ve been a bad guy
Been higher than the blue sky
And the truth is
I don’t wanna die an ordinary man

Il titolo dell’album può essere considerato un esempio cristallino di umorismo inglese. Ditemi, cosa può avere in effetti di così tanto straordinario il personaggio in copertina? I pipistrelli morsicati, le vicende della sua famiglia trasmesse da MTV e tutti gli altri casini non contano…
Ordinary Man non è ancora l’ultimo saluto dell’artista, e sono certo che ci terrà compagnia per molto, moltissimo tempo. Si fottano i cimiteri!

 

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