Articolo di Emilio Aurilia

Una delle proposte musicali più interessanti che ha attraversato la fine degli anni sessanta e l’inizio di quella successiva, senza lasciare la eco che avrebbe meritato.

Formazione prevalentemente acustica basata anche su strumenti insoliti nel mondo del rock come oboe, violino e violoncello (questi ultimi suonati spesso col plettro anziché con l’archetto), hanno creato un piacevole e difficile folk progressivo con pezzi ora esclusivamente strumentali, ora con un cantato monotono quasi mantra, attingendo dal folk europeo ed extra europeo, ai balli di corte rinascimentali, fino ai lidi del free jazz e dell’avanguardia, sorretti anche dalla sapiente regia di Paul Buckmaster (divenuto poi membro fisso).

All’interesse suscitato per la grande interpretazione sul palco dell’Isola di Wight (1969), non è seguito poi quello delle vendite, lasciando alla band il ruolo di gruppo di nicchia per palati esigenti, come mostra l’album eponimo (1970), basato sulla descrizione musicale dei quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra e l’immaginifica poesia visiva “Phoenix”, dall’album “Magus” (1972).

 

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