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VARCANDO LE PORTE Musica e poetica dei Doors

 

VARCANDO LE PORTE

Musica e poetica dei Doors

A cura di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

Provate voi a definire la musica dei Doors, utilizzando solo qualche parola. Provate, avanti!

Difficile, lo so, difficilissimo. Eppure la mitica band americana ha composto e suonato alcuni dei brani più importanti di sempre, canzoni che ascoltiamo, che amiamo ancora oggi e che, ancora oggi, continuano ad affascinarci. Ma come spiegare la proposta artistica del complesso nato nel 1965 a Venice Beach, in California? In linea di massima stiamo parlando di blues, di psichedelia, di acid rock, già di molte cose, ma andando più a fondo la situazione si evolve ulteriormente.

Jim Morrison considerava i Doors un gruppo blues bianco, con una sostanziale carica rock, aspetti del jazz, del pop e addirittura della scrittura classica. In effetti tutti questi elementi sono assolutamente riscontrabili, ma c’è molto altro nella visione artistica della band. Del tutto singolari nella storia del rock, i Doors non rientravano in nessun canone in particolare: fuori dalla scena prettamente acida di San Francisco, nonostante i toni cupi e allucinatori, fuori dall’onda britannica, fuori dal pop vero e proprio, dal folk e da qualsiasi altro genere realmente catalogabile. Gli stili e il background di ognuno dei quattro membri contribuirono a dar forma a un progetto atipico, anomalo e originalissimo. Il Fender Rhodes Piano Bass del geniale organista Ray Manzarek, la chitarra slide di Robby Krieger, i ritmi vorticosi prodotti dalla batteria minimal di John Densmore e il canto ascetico di Morrison, tutti ben amalgamati, andavano a creare un vero e proprio mondo onirico, sensuale, provocante e dannatamente spirituale. In aggiunta poi, sparsi qua e là nella discografia, ingredienti tratti dal flamenco, dalla cultura indiana e da altri universi ancora. In sostanza i Doors crearono un mondo esclusivo, inconfondibile e irripetibile, un mondo sonoro perfetto per accompagnare la poesia controversa, trasgressiva e a tratti trascendentale di Morrison. Affascinato dalle voci letterarie della beat generation o dalle composizioni maledette di Arthur Rimbaud, egli iniziò fin da giovanissimo a dedicarsi alla poesia, a suo modo di vedere, forma massima di espressione. Attraverso le sue parole, Jim incoraggiava le persone a evadere dal conformismo, dalla mente, dal proprio io, tutto per raggiungere la libertà assoluta. Break on through (to the other side), il mitico pezzo d’apertura dell’omonimo primo album dei Doors, 1967, è particolarmente significativo, forse quello che più riassume i sofisticati concetti di Morrison. Il testo non è altro che un chiaro invito a lasciarsi andare, a varcare le mitiche porte della percezione, destinazione altra parte. A livello stilistico il Re Lucertola amava proporre immagini profondamente metaforiche, capaci di muoversi su terreni classici e al contempo esoterici, sciamanici. L’amore del frontman per la poesia e per il potere supremo del linguaggio venne testimoniato nel 1970 anche dal poema An American Prayer, opera che ispirerà nel 1978 il titolo del nono e ultimo album del gruppo ormai orfano del cantante, e dalle raccolte I signori e Le nuove creature, amatissime dagli ammiratori, ma non proprio apprezzate dalla critica.

Jim Morrison continuò a scrivere e a registrare su nastro le proprie visionarie liriche fino alla fine dei suoi giorni, gli ultimi dei quali trascorsi a Parigi con la compagna Pamela Courson. E qui, è impossibile non citare gli inquieti e struggenti versi di The End, una delle canzoni più conosciute del repertorio.

This is the end, beautiful friend.
This is the end, my only friend, the end.
Of our elaborate plans, the end.
Of everything that stands, the end.
No safety or surprise, the end.
I’ll never look into your eyes, again

 

Torniamo al quesito iniziale: come definire a questo punto la musica dei Doors? D’accordo, blues, psichedelia, rock e soprattutto grande impatto poetico. Tuttavia, possiamo cavarcela meglio, molto meglio: la musica dei Doors, beh, non è altro che la musica dei Doors, un firmamento a sé stante, dipinto altrove da Manzarek, Krieger, Densmore e da lui, l’iconico poeta maledetto, sua mestà The Lizard King.

 

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