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Adesso davvero non è più domenica


di Carlo Amedeo Coletta

Cantava Cremonini, ricordate? Da quando Baggio non segna più, da quando Senna non corre più, non è più domenica.
Immagino abbiate sentito i telegiornali: adesso anche Maradona non c’è più.

Anche gli dei muoiono, avrà sicuramente pensato qualcuno in giro per il mondo, soprattutto in Argentina dove, dal 1998, esiste una vera e propria religione, nata per scherzo e viva per fede, i cui fedeli si chiamano Maradoniani, cultori del dio del calcio.
Ma vi siete chiesti come mai Maradona abbia segnato in maniera così profonda la storia della sua epoca? A pensarci bene, potrebbe avere sulle spalle la classica etichetta del calciatore drogato e distrutto dagli eccessi. Nato dal nulla e con troppi soldi da spendere una volta diventato grande. Uno come tanti, potrei fare mille nomi. E invece no. Questo non vale per Maradona. Perché?
E’ il 1986 e siamo in Messico. E’ estate, ci sono i mondiali ma l’Italia, detentrice del titolo, è già uscita ai gironi. E c’è una partita. Non è una partita qualunque perché si ritrovano l’una di fronte all’altra due nazioni che si erano scontrate per l’ultima volta 4 anni prima, in mare e sulla terra di un piccolo arcipelago, quello delle isole Falkland. E in quei due mesi di guerra, guerra vera, muoiono circa 800 argentini e vengono affondate 10 navi. E l’Argentina da anni ha fame, fame vera, perché da tempo non c’è da mangiare, da quando un governo militare ha preso il potere e ha usato l’arma del nazionalismo per aizzare la folla e giustificare i sacrifici, fino a far sparire l’Argentina, nazione che si aspettava l’aiuto, quanto meno il supporto, del mondo occidentale. Si trova sola e sparisce, invece, con la sua fame e la sua povertà.
Quel giorno in campo c’è Maradona contro i nemici. Certo, non è solo, ci sono altri 10 argentini con lui in campo, 10 come il suo numero di maglia. Maradona è già famoso, un fuoriclasse, vanto per la sua gente. E stop. E la partita è difficile. A parte Maradona, il resto della squadra è più che abbordabile. Servirebbe un intervento divino per ristabilire un equilibrio cosmico e togliere al nemico almeno un giorno di felicità, un giorno di gloria, un sorriso da riportare a casa. Le isole, ormai, il nemico se l’è tenute.
Come in mare e nella terra di quel piccolo arcipelago, però, il nemico proprio non ne vuole sapere di crollare. Servirebbe un aiuto dal cielo. E all’improvviso, qualcuno da chissà dove guarda quel campo da calcio, per soli dieci minuti. A chi può, in effetti, basta poco.
6 minuti dall’inizio del secondo tempo, un difensore inglese svirgola un innocuo pallone mandandolo in orbita. Sulla palla si avventa il portiere, uno spilungone dai grossi denti inglesi. E Maradona, alto 1,65. E incredibilmente, arriva più in alto lui, Maradona, alzando una mano che tutto il mondo vede ma non l’arbitro. E’ la mano di Dio. E Maradona, però, non è il dio. Maradona è lo strumento utilizzato da Dio per ristabilire la giustizia. Ecco perché Maradona è l’Argentina e l’Argentina è Maradona. Un uomo scelto e utilizzato dall’Onnipotente per aiutare i bisognosi, in questo caso tutti gli argentini. Alla pari di un santo, insomma.
Ma abbiamo detto che lo sguardo dall’alto durò 10 minuti. Ne sono passati solo 6. C’è dell’altro. Dopo 4 minuti da quella famosa mano divina, qualcuno decide che anche i piedi abbiano la loro importanza. E così nasce quello che passerà alla storia come il gol del secolo. Un pallone recuperato nella propria metà campo, una fuga verso la porta avversaria, infinita, velocissima, inspiegabile, in mezzo a 9 avversari che non riescono a colpire nè la palla nè Maradona. La palla finisce in rete dopo che anche il portiere è stato messo a sedere. Maradona finisce a esultare dopo che neppure l’ultimo nemico è riuscito a fermarlo. E tutto finisce lì. Il gol del nemico, nel finale, passa quasi inosservato.
Se leggerete il messaggio di cordoglio del capo di Stato argentino, noterete l’unico ringraziamento: ci hai reso felici.
In fondo, l’Argentina aveva bisogno di questo, di almeno un giorno di felicità. Ed è stato scelto lui per compiere la missione. Si diventa eroi per caso, spesso. Bisogna essere lì, però, e saper fare ciò che si deve.
E poi c’è Napoli. La sua Argentina in Italia. Oppure era l’Argentina a essere Napoli a casa sua, chissà.
Anni difficili per quella zona. Tanta povertà, disoccupazione alle stelle, un terremoto devastante che ancora piange morti e macerie. Lo Stato che non risponde e, quando lo fa, solitamente sbaglia. E l’arte di arrangiarsi, molte volte, non basta più. Sì, in effetti assomiglia molto all’Argentina della guerra delle Falkland. C’è bisogno di riportare i sorrisi, richiamare a casa la felicità. E Maradona capita proprio qui. Riporta tutto ciò che serve, almeno un giorno alla settimana perché all’epoca si gioca solo di domenica. E se non basta, anche al mercoledì, quello di coppa. E porta Napoli dove, calcisticamente, non era mai arrivata. Porta una città, dalla storia vincente e dal presente deprimente, di nuovo al proprio posto, quello che le compete, di fronte agli occhi di tutto il mondo. Un campione, direte voi. Magari bravissimo ma pur sempre un calciatore, nulla più. Non è così. Maradona, con il pallone tra i piedi, non fa ciò che vuole lui, fa ciò che vuole la gente che lo segue. Alle volte, prima di una punizione, sembra quasi chiedere, telepaticamente a tutti i tifosi, uno per uno, dove preferiscano che finisca la palla. E lì la manda.
Un uomo strano, Maradona, come lo sono quelli che fanno parlare di sè, nel bene e nel male, per generazioni.
Una specie di Donchisciotte, schierato sempre con i deboli contro i forti, pronto a capitanare qualsiasi rivoluzione, piccola o grande, con le controverse amicizie che lo hanno contraddistinto.
Un irriverente, Maradona, che in udienza con Giovanni Paolo II non bacia nessun anello ma rimprovera il Papa dicendo: veda di fare per davvero qualcosa per i poveri.
Un uomo strano, Maradona, ben disposto a passare il tempo nei quartieri spagnoli assieme alla gente comune.
Un uomo particolare, Maradona, amico persino di chi è ricercato da anni e solo lui riesce a incontrare per una cena e un bicchiere di vino.
Un tizio strano che in Argentina e a Napoli, nella gente dell’Argentina e di Napoli, riporta ciò che in quel momento mancava da secoli e che, forse, tarderà molto a tornare.
Non c’è alcun giudizio nelle mie parole, siamo tutti uomini, con i nostri errori e i nostri successi, le nostre paure e i nostri talenti. Questo è solo un racconto di un evento realmente accaduto da cui è nata una specie di mito dei giorni nostri, nulla più.
C’è commozione, questo sì, perché il pensiero corre ad Enrico Ameri che interveniva dal San Paolo, alla radio, mentre facevo i compiti, per segnalare l’ennesima prodezza di questo uomo strano. E quindi sono quegli anni che mi mancano. E lui ne ha fatto parte. Una parte importante, quella dell’amore per il calcio.
Ciao Diego, sono contento di averti visto giocare, anche se ci facevi sempre gol .

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