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3 PUNTI A PARTITA Meglio soli o male accompagnati? State Allegri chè la capolista se ne va

 

Articolo di Carlo Amedeo Coletta

 

 

E un altro campionato è andato. Certo, siamo a febbraio e, di nuovo certo, non mi stupirei se improvvisamente cambiasse tutto, ma ammettiamolo: l’Inter ha vinto lo scudetto. Sì, voi tifosi nerazzurri siete autorizzati a fare tutti gli scongiuri che volete, a patto che poi non vi piaccia troppo. Per il resto, con imparziale obiettività, quest’anno l’Inter è la squadra più forte. E’ quella che gioca meglio, la compagine con i giocatori più forti, l’armata calcistica più completa. E non è facile mettere insieme una squadra così. Bisogna dare a Marotta ciò che è di Marotta, non c’è che dire. C’è riuscito di nuovo. Ha perso Lukaku e tutti pensavano al tracollo della squadra. Lui ha scommesso su un giovanotto di belle speranze, figlio d’arte, ed ecco che il nome di Thuram, dopo vent’anni di pausa, torna a riempire le pagine dei giornali. Il padre giocava in difesa, lui in attacco. Il padre dominava con la Juventus, lui con l’Inter. Conflitto generazionale? Semplice carattere da bastian contrario? Puro caso? Non so ma, ad ogni modo, scommessa vinta a mani basse. Certo, non ci sono solo Marotta in ufficio e Thuram in campo. Tra i mille fattori che hanno scatenato l’alchimia di quest’anno c’è un’ossatura durevole, giocatori ormai presenti in nerazzurro da molto più tempo di quanto si sia normalmente abituati e sentire, una tifoseria appassionata e sempre presente e un allenatore che, anche lui, poggia le proprie terga su questa panchina ormai da un bel po’. Basta tutto ciò? E’ la formula della vittoria? Anche questo, in effetti, non si sa ma l’Inter, andando controcorrente, sta sbaragliando le compagini avversarie, e questo è un fatto. Ma i rivali, dove stanno?

Partiamo dai primi inseguitori. Fino a poche settimane fa, concreta e concentrata come un lupo a caccia, la Juventus di Allegri ha fiutato per mesi la preda. E poi è successo qualcosa. La difesa che non prendeva mai gol è diventata un colabrodo. L’attacco di Chiesa, Vlahovic e della scommessa Weah, anche lui figlio d’arte, si è rivelato minaccioso come un gattino bagnato. I pochi punti di distacco sono diventati una voragine. Dov’è l’origine del male? Per accontentare i tifosi, annoiati dal gioco difensivo della squadra, Allegri ha cambiato troppo? Un fisiologico calo fisico? L’anno bisesto, anno funesto? Mistero ma Allegri, forse, sta perdendo qualche certezza.

Il Milan, geloso delle vittorie degli acerrimi rivali concittadini, da mesi ormai non trova di meglio da fare se non randellarsi da solo, come i frati che si fustigano per espiare le proprie colpe. Oggi vince con una big, domani ne prende 4 dal Monza. In mezzo, un’accozzaglia di giocatori dai nomi impronunciabili o improbabili, tipo Thiaw che si pronuncia Ciao. Un attacco che si basa sulle doti atletiche di Leao, svogliato 2 partite su 3, e sulla pensione di Giroud, ormai prossimo alla quarantina. Adesso che anche il super portiere Magnan inizia a sembrare umano, la resistenza all’onda d’urto degli attacchi avversari va e viene. E in panchina, il buon Pioli non sembra avere cura migliore se non supplicare Leao di aver voglia di giocare. Neanche stesse in campo per volontariato. Bah.

E poi chi c’è?

I campioni d’Italia in carica, il Napoli, galleggiano a metà classifica dopo i mille avvicendamenti in panchina. Sì, De Laurentis poteva essere solo un produttore di film, non c’è che dire. A luglio lascia andar via Spalletti. La notizia e i rumors che la accompagnano sono degni di un rapimento finito con il rilascio dell’ostaggio. Da un divano, in Francia, viene fatto alzare Rudi Garcia. Un uomo che, candidamente, si presenta dicendo che del Napoli, lui, non ne sa niente ma si informerà. Ecco il nuovo allenatore. Passano 12 penose partite e, con qualche soldo in più sul conto, Garcia se ne torna sul divano, in Francia. Da una poltrona di quelle che si alzano col telecomando, probabilmente piazzata nel giardino di una graziosa villetta per anziani, viene chiamato Mazzarri. Sì, proprio lui. Dieci anni dopo l’addio al Napoli. Una di quelle storie strappalacrime in cui, dieci anni prima, nessuno vuole separarsi e poi, dieci anni dopo, nessuno vuole ritrovarsi. E invece….Napoli chiama, Mazzarri risponde. Passano 12 partite. Di nuovo. E anche lui se ne torna sulla poltrona che si alza da sola. Oggi arriva Francesco Calzona. Non sto a parlarvene. Immagino avremo di nuovo 12 partite per conoscerlo e, infine, salutarlo. Al cinema, anni fa, c’era il film “la nona porta”. Adesso c’è “la dodicesima panchina”. Vedremo come sarà il finale. L’inizio è da grandi pellicole: si parte con il Barcellona in Champions. Stiamo a vedere se sarà meglio stare soli o stranamente accompagnati.

Ci sarebbe, poi, l’Atalanta. Bè, c’è tutti gli anni. Sempre uguale. Cambiano i nomi dei calciatori ma i punti, la posizione in classifica e l’allenatore restano gli stessi. E allora, se restano gli stessi, già sappiamo che arriverà quarta. Magari terza, magari quinta, ma la sostanza del discorso è che più di lì non va, nonostante gli stessi colori dell’Inter. Mimetizzati, sì, ma più indietro.

Poi? Lo scorso anno, prima tra le sconfitte, c’era la Lazio. E quest’anno, invece, non c’è. Il buon Sarri, che tanto vorrebbe terminare la carriera con questa squadra, ci sta riuscendo. Poca roba.

E la Roma? Ci si aspettava di più da Mourinho. Ci si aspettava di più dai giocatori, dalla squadra, dalla società. E siccome ormai si tifava tanto per Mourinho e poco per la Roma, si è salutato l’allenatore portoghese per far spazio a chi, di Roma, è una bandiera. E’ arrivato De Rossi. Esperienza in panchina? Zero. Precedenti in panchina? Un esonero con la Spal. Funziona? Bah, per il momento sembrerebbe di sì ma basta davvero sventolare un vessillo del passato per trovare la giusta strada per il futuro? Eh, pure questo è un bel mistero.

E quindi, a meno che gli sponsor delle scommesse o le Tv a pagamento non stravolgano le sorti del gioco per garantire più spettacolo e maggior incassi, anche questo campionato è già finito a febbraio. Per fortuna, tra poco, riprende la formula 1, almeno. E anche qui, in Ferrari, si sta girando un film degno di De Laurentis: A un passo da Tre. I protagonisti sono Sainz, scaricato dalla rossa, sì, ma tra un anno. Hamilton, caricato sulla rossa, sì, ma tra un anno. Le Clerc, ancora sulla rossa, sì, ma chissà per quanto, chissà per chi, chissà perché. E la domanda del titolo, meglio soli o male accompagnati, è proprio rivolta a lui, a Le Clerc: come compagno di squadra, un rivale coetaneo è meglio o peggio di un attempato pluricampione del mondo? E durante questa stagione, Le Clerc collaborerà con Sainz per superare Hamilton o aiuterà Hamilton a superare Sainz? Immaginiamo. Ultima gara dell’anno. Sainz ed Hamilton si giocano il titolo. Ultimo giro. Le Clerc è in mezzo ai due. Chi arriva davanti, vince tutto.

E vedi che, a volte, è meglio stare da soli?

A presto, e buono sport a tutti!

 

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