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L’angolo di…

 

Articolo di MsFMaria ~ Keanu

 

L’estate è ormai alle porte e presto le nostre orecchie saranno bombardate da ogni sorta di ritmo pseudo latino con tre parole straniere in croce – se non proprio musica proveniente dalle ex colonie spagnole – che diventerà il tormentone dell’anno. Avevo già accennato a questo fenomeno del tormentone e ogni qualvolta sento questa parola non riesco a far a meno di associarla a una frase che disse il M° Pino Insegno durante una masterclass, in quella che poi diventò per breve tempo la mia accademia. Ci spiegava, infatti, come fossero cambiate le tendenze e come si costruisse qualcosa di orecchiabile a teatro o al cinema e come fossero cambiati i tempi tecnici per suscitare una reazione nel pubblico, più o meno allenato all’ascolto.

Ho parlato di “tempi tecnici” perché nella costruzione di uno spettacolo o nello sviluppamento di un format la tempistica è fondamentale. Bisogna tener conto di: reazioni emotive, psicologiche, effetti, musicalità, attenzione del pubblico, clamore, etc. Per esempio: fino a qualche anno fa, poco meno di dieci, si diceva che l’attenzione piena dello spettatore si attestasse intorno ai trenta minuti. Questo prima dell’implementazione di applicativi che richiedono delle reazioni estemporanee. Adesso, quindici minuti si sentono pesanti già come un’ora, specie per le nuove generazioni. Basti pensare che le nuove canzoni in radio durano già tanto se sforano i 3:30.

Ritornando alla musica, dunque, a prescindere dal genere che si ascolti, più o meno impegnato o ritmato, ciò che davvero stimola il cervello è la frequenza. In musica, si intende quante volte al secondo oscilla un’onda sonora e con questo concetto viaggia pari passo quello di altezza (grave, medio, acuto) e delle bande (o range come direbbero alcuni miei colleghi) di suoni percepibili o meno dall’orecchio umano. Aggiungerei più o meno consciamente. Pertanto, a seconda della vibrazione e della frequenza di un suono un soggetto che le ascolta/percepisce può reagire in maniera differente.

Ormai, ci lasciamo talmente assuefare dalla musica che è proposta da chi la produce da non prestare neanche attenzione alle emozioni e alle sensazioni che ci suscita. L’importante è che abbia delle percussioni, qualcosa di ripetitivo e delle parole facilmente memorizzabili. Un po’ come quando la mia generazione, in età adolescenziale nei primi anni ’90, traduceva le parole del DJ in “Puccio Enza appin di er!” e ci si chiedeva chi fosse questa signora che girasse per tutti i locali al punto di essere quasi una diva. E no, non è la Regina del Celebrità tanto decantata da Pezzali.

Per cui, ascoltiamo distrattamente la musica in cuffia mentre si studia o lavora o in palestra o in un locale. A proposito di locali, perché cambia il genere musicale con e con esso il target di clienti? Sarà vero che non prestiamo attenzione a cosa ascoltiamo? Il nostro cervello sempre: un piccolo archivio di informazioni che permettono di manipolarlo con facilità. Reagisce, infatti, a determinati stimoli, ritmi, percussioni, frequenze. Frequenze? Già, frequenze! No, non sto parlando necessariamente di psicologia da sala d’attesa o di New Age (non prescisamente), bensì di cosiddetta “rocket science”.

Perché ci attirano molto a livello instintivo primordiale determinati ritmi tribali? In fondo, si tratta solo di una mano che percuote uno strumento, come i bambini dei miei tempi con un mestolo di legno su un coperchio di una pentola. Perché più il ritmo incalza e più i nostri freni inibitori si allentano? Il nostro cervello reagisce a degli stimoli veicolate da determinate frequenze, vibrazioni di onde sonore, vibrazione di un suono nell’aria e questo attiva una serie di azioni a catena: si rilasciando determinate sostanze nel sangue, veicolate mediante esso al cuore a una velocità tale che sembra che i suoi battiti si adattino al ritmo, al tempo e ci si senta liberati. In taluni casi, trovarsi a un concerto o a un rave (lo so, si nota sempre di più la mia generazione che emerge) il rilascio di adrenalina è maggiore perché oltre ai bassi pompati, la cassa di risonanza, la percezione diretta e fisica all’interno di una folla in delirio ti porta anche a una socialità di branco e non sempre di quella poco nociva alla salute.

L’essere umano andrà sempre alla ricerca di quello stato estatico, di benessere, di libertà che permetta di sentirsi in un altro mondo o di appartenere a un gruppo. Alcuni trovano questo stato in uno sballo, altri in un ambiente più rilassato con del chillout o lounge jazz mentre pasteggiano in un locale di nicchia, altri ancora a teatro. E proprio a Teatro la musica riscopre un ruolo fondamentale, quasi religioso, di certo spirituale.

Ancora una volta il connubio teatro-spiritualità, teatro-psicologia, teatro-terapia, teatro-studio. Si tratta di un viaggio mentale, un viaggio dell’anima e a teatro la musica riveste un compito d’eccellenza: dall’intrattenimento al tappeto di note e, addirittura, pedale emotivo. Un po’ come la colonna sonora al cinema, qui, specie quando la si suona dal vivo, suscita delle reazioni, delle emozioni e deve seguire una rigida programmazione, specie quando si costruisce un climax – drammatico o comico che sia. Nel secondo caso, la precisione deve essere militare, scientifica… chimica, oserei dire. Esempio: Giulietta in scena si sveglia e trova Romeo morto ancora caldo… se solo si fosse svegliata due secondi prima… si sa che si ucciderà per diverse ragioni invisibili a occhio nudo, tuttavia, se al momento clou in cui sta per togliersi la vita dalla regia involtariamente scappa un suono tipico dei video giochi degli anni ’80 che segnala “game over” (a meno che non sia stato costruito durante tutto lo spettacolo), si smonta la tensione emotiva e potrebbe anche risultare in una sonora risata. Al cinema, diventerebbe un blooper, a teatro, dal vivo, non esiste quest’opzione.

Eppure i tormentoni esistono anche a teatro: certo non si tratterà di Despacito o di Waiting for Tonight, ma esistono delle Arie, delle Canzoni, dei brani che anche fuori dal palco sono famosi. In quel caso si tratterà di qualcosa a tema o musicalmente accattivante o spettacolare come È scabroso le donne studiar, O mio babbino caro, Bella, etc, che rimangono per un motivo o per un altro impressi nella memoria anche a causa della “ripetizione”. Insomma, anche a Teatro esistono le Hit Parade. E qui mi sovviene il famoso Prof. Keating di Dead Poets’ Society, un film di culto.

Concludendo, la musica è il passaporto o il passpartout per il nostro cervello: che si tratti della canzone dell’estate, delle solfeggio frequencies, della colonna sonora di un film o del tema di uno spettacolo più o meno colto.

Quest’estate, scegliamo dunque lo spettacolo cui vogliamo assistere con questa nuova coscienza e regaliamo al nostro cervello dei brividi consapevoli.

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