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CRIMINALI CON IL PUNTO ESCLAMATIVO Intervista ad Arcu, cantante degli Shonan

A cura di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

Gli Shonan presentano il nuovo album Kriminals!, il degno successore del già buonissimo Farewells And Pillows. Il cantante/chitarrista Arcu, il bassista Manu e il batterista Dan, dopo aver composto e pestato in sala prove, hanno raggiunto appena possibile lo studio di registrazione e in una settimana hanno inciso le giovani creature, per giunta, divertendosi parecchio. Già, perché la voglia di divertirsi, di non prendersi mai troppo sul serio, rappresenta in qualche modo la chiave di lettura. L’album è molto bello, ve lo assicuro, ho avuto il piacere di ascoltarlo in anteprima. Le canzoni scorrono via che è un piacere e regalano momenti di grande energia. Una base puramente punk rock, ma che questi ragazzi di Parma hanno saputo arricchire con la propria vena, con le proprie interessanti idee. I singoli dicono già parecchie cose. Ci spiega tutto Arcu, dall’approccio musicale alla passione per i manga, dall’esperienza in studio ai progetti futuri…

Benvenuto, ragazzo. Prima di parlare del nuovo disco, e che disco, presentatevi ai lettori amanti della buona musica…

Ciao a tutti i lettori, siamo gli Shonan e siamo molto contenti di fare questa intervista. Ci spiace siate amanti della buona musica perché in giro ce n’è davvero poca, e noi non facciamo di certo eccezione. Ad ogni modo, veniamo da Parma, suoniamo rumorosamente e abbiamo grandi bassi, chitarre distorte e batterie veloci. Di recente abbiamo passato una settimana chiusi in studio a registrare Kriminals!, il nostro secondo disco, dal quale sono stati a oggi estratti i due singoli  Rocky Roberts e Suburban Hayez, che potete ovviamente trovare su Spotify, Apple Music e su tantissime altre piattaforme streaming che nemmeno noi conoscevamo. Piacere di conoscervi.

Shonan, correggimi se sbaglio, richiama la cultura nipponica, una regione in particolare e forse qualcosa del mondo manga…

È vero, e devo ammettere che ogni volta che questa domanda ci viene posta mi sorprendo di quante persone colgano la citazione. Quando avevo decisamente più tempo, leggevo tantissimi manga: sono sempre stato un appassionato di anime, fin da piccolo quando i cartoni animati giapponesi al pomeriggio e prima di cena rappresentavano un buon 60% dello sviluppo personale e culturale dei piccoli. Alcuni anni fa lessi il manga Shonan Junai Gumi (La Banda dell’Amore puro di Shonan), ovvero le avventure del giovane Onizuka, il protagonista dell’anime GTO, e fui completamente rapito dal racconto, dalla trama e dal contesto: al tema della forte amicizia e intesa che lega i due protagonisti, si uniscono scontri, incontri, colpi di scena, momenti drammatici, momenti epici e situazioni al limite del ridicolo. Quel manga racchiude in sé una quantità incredibile di situazioni e di vita, una vita avventurosa, che forse è quella che molti di noi vorrebbero. In più, Shonan era conosciuta un tempo per le sue corse clandestine in moto lungo la strada che fiancheggia il mare, e per le sue band rock’n’roll. Questi ingredienti bastavano per farmi sfogliare ogni pagina con una nostalgia e una carica fortissime. Volevo catturare queste emozioni e infilarle nella band, perlomeno in modo simbolico, avrei voluto suonare come quel mondo mi faceva sentire: Shonan mi sembrava suonasse bene, e allora, ecco il nome della band. Piacque subito anche agli altri. La moto in copertina a Farewells And Pillows, il nostro primo disco, è un omaggio a tutto questo, in quanto gran parte delle avventure raccontate nel fumetto si svolgono attorno o a cavallo di splendide moto anni’70/’80. Questa è stata la matrice di tutto, ora siamo semplicemente gli Shonan e ognuno di noi si sente parte di questa band, che sia o meno appassionato delle radici del nome.

Kriminals! come detto, è il secondo capitolo della storia. Ciò che arriva subito alle orecchie ascoltandovi è l’energia generale. Un disco selvaggio e al contempo divertentissimo, proprio il genere di materiale che adoro. Come è nato il nuovo lavoro?

Divertendoci, come tu hai scritto. Il fatto è che avevamo davvero voglia di fare questo disco, è qualcosa sul quale abbiamo cominciato a lavorare fin da quando Dani è entrato nella band, nel 2016. Ci siamo accorti che l’alchimia era quella giusta, che quando suonavamo c’erano tante cose che andavano a posto. Avevamo però delle priorità, l’uscita di Farewells And Pillows, i concerti e tante cose a cui pensare. Abbiamo però sempre scritto, non ci siamo mai fermati solamente a quello che stavamo facendo, ma abbiamo continuato a pensare a quello che avremmo voluto fare. Non è affatto facile per una band come la nostra pensare a un album: la situazione discografica generale, le mode e i trend, qualsiasi cosa ti suggerisce ora che meno fai e meglio è. La nostra idea iniziale era quella di uscire con un EP, sarebbe stato più veloce, meno dispendioso, più leggero da gestire e probabilmente ci avrebbe anche messi meno alla prova a livello emotivo. Arrivati a un certo punto però, avevamo talmente tante canzoni che avremmo dovuto sacrificarne metà, e non ci andava assolutamente di farlo, quindi ci siamo detti: «Vaffanculo, facciamo un album!». I pezzi giravano, ci piaceva come stavamo suonando, e sinceramente non vedo perché una band dovrebbe farsi dei problemi a pubblicare un album, solo perché in giro ti dicono che è sconveniente. Se credi che ne valga la pena, allora devi sentirti libero di metterla giù come ti pare. Noi non abbiamo assolutamente questa sicurezza, ma credo che in generale sia un discorso che può avere un senso.

Quindi, canzoni in mano, cosa avete fatto?

Nel 2019, appena prima che il mondo cambiasse, abbiamo registrato le demo di tutti i pezzi e le abbiamo inviate ad Ettore Gilardoni e Roby Gramegna della Rocketman Records di Milano. Loro avevano sentito Farewells And Pillows, gli era piaciuto, e allora avevano deciso di lavorare con noi sul seguito. Saremmo dovuti entrare in studio ad aprile 2020, ma è successo quello che è successo, e allora ci siamo andati appena abbiamo potuto, a luglio. È un disco nato in sala prove, non avevamo un’idea organica di come avrebbe dovuto essere il mood o di quale spazio avrebbero avuto i pezzi all’interno della tracklist, al massimo la nostra preoccupazione più grande era quella di scrivere ogni tanto un pezzo più lento degli altri, per permetterci di respirare un po’ durante i live. Oltre a questo, lo facciamo per divertirci: prendiamo il divertimento molto seriamente. Anche durante i momenti di maggior concentrazione e lavoro ci piace dire e fare un sacco di cazzate, tentiamo costantemente di farci ridere a vicenda: facciamo fatica a prenderci sul serio mentre facciamo i seri con i nostri strumenti in mano. Ognuno di noi aveva comunque più di un valido motivo per scrivere e registrare questo disco, sia come individui che come band: insieme abbiamo visto e sentito un po’ di cose in questi anni, e credo che queste abbiano influito sul nostro approccio ai nuovi brani che stavamo scrivendo.

Punk Rock deciso, quello della vecchia scuola, ma non soltanto. Le tracce presentano di fatto anche spunti più hard e colori personali mai banali. In fase di scrittura, cosa avevate in mente?

Nulla di preciso, veramente. Volevamo solo che i nuovi pezzi fossero fragorosi, potenti. Oltre a provare la nostra scaletta, durante le prove suoniamo tantissima altra roba, e soprattutto jammiamo tanto e mettiamo assieme le idee. L’unica cosa di cui eravamo sicuri era di come suonavamo assieme. In generale ci piace lasciare che tutto scorra, lo sentiamo quando qualcosa ha un senso e quando non lo ha, e abbiamo lavorato ogni brano come se fosse un momento a parte ma attraversato da quel filo rosso che sentivamo di star seguendo. È capitato, per esempio, che sopra un groove di batteria di Dani io infilassi un giro sul quale stavo lavorando in quel periodo, ed è nata Falling Stars Again. Ci sono tantissimi altri giri e melodie che abbiamo suonato, ci sono piaciute, ma che non ci siamo sentiti di sviluppare e portare avanti. È stato così, un feeling generale e tanti momenti differenti durante le prove. Ci rapportiamo ai pezzi che scriviamo come si fa con le persone, li conosciamo, ne capiamo il carattere, un po’ li prendiamo sul serio e un po’ no, fino a quando, dopo averli suonati e lavorati, ci guardiamo e capiamo che il brano è lì, ed è concluso. Questo, o forse volevamo solo fare un po’ di casino.

In studio come è andata? La produzione è eccellente e i suoni ben definiti. Batteria tosta, come giusto che sia, linee di basso efficaci e riff di chitarra ben inseriti…

La produzione e i suoni sono merito di Ette (Gilardoni), e della sua esperienza. Siamo entrati in studio (il Real Sound di Milano) dopo il lockdown, e dopo aver già rinviato le registrazioni una volta. Abbiamo letteralmente vissuto in studio per una settimana intera, dividendoci tra le registrazioni e le passeggiate nel Casoretto dopo cena: da una parte sembrava di essere in gita, dall’altra sapevamo tutti che finalmente stavamo creando quella cosa per la quale avevamo lavorato durante tutti i mesi e gli anni precedenti. Prima di entrare in studio abbiamo dedicato intere serate e giornate alla preparazione delle registrazioni, non volevamo farci cogliere alla sprovvista dall’atmosfera dello studio, e la cosa ha funzionato: se ripenso a quei sette giorni non mi viene in mente un solo momento di indecisione, di tensione, anche quando si è trattato di cambiare qualcosa all’ultimo minuto, o di aggiungere delle chitarre che non erano inizialmente previste. È stato tutto molto naturale, ci siamo sentiti a casa. Ricordo ancora quando Ette ci ha girato i primi mix dei brani, sono rimasto sconvolto perché suonavano esattamente come avrei e avremmo voluto, e credo che questo sia merito anche dell’energia che si è creata tra noi e lui durante le registrazioni: i pezzi giravano senza problemi, c’era un ottimo scambio di idee, e questo ci ha consentito di dedicare parte del tempo a fare quello che sappiamo fare meglio, ovvero dire e fare cazzate. È stato molto divertente. Una volta ultimati i brani in sala prove e consolidata la base, tutto ciò che rimane è pensare a cosa può essere aggiunto per migliorare le cose, ed è una cosa che viene più facile se si è sicuri del punto di partenza.

Le canzoni sono tutte interessanti, la tracklist è omogenea e, di fatto, tutto scorre bene senza interruzioni. Le melodie, beh, sono accattivanti e funzionano di brutto. Potrei citare ancora Suburban Hayez o proprio Falling Stars Again, per esempio. Quali sono però i brani che preferite?

Non abbiamo preferenze specifiche, perché abbiamo un rapporto particolare con ogni canzone. Potrei dirti per esempio che Falling Stars Again è stato il secondo pezzo scritto per il disco e che inizialmente si chiamava semplicemente Uai Ai Ai, mentre Suburban Hayez è stata l’ultima, e fino a quando non l’abbiamo ascoltata registrata non avevamo assolutamente idea che potesse piacerci così tanto. Ci sono pezzi che sappiamo essere più difficili da suonare live, altri più interessanti o intensi, altri che invece facciamo finta non ci piacciano e quando qualcuno di noi li propone in sala prove gli altri rispondono da prassi che no, quella non si suona perché fa schifo. Ci piace dialogare con i nostri pezzi, capirne il carattere e provare a rapportarci con loro. Adoriamo Rocky Roberts, e ogni volta portarla in fondo è una sfida, Everything is Ending è la prima scelta di Manu, il bassista, quando è il suo turno di proporre un pezzo, mentre ci piace tenere Faithfull come ultima canzone delle prove perché alla fine siamo dei masochisti, e ci promettiamo a vicenda di non farlo mai più. Sai, questo genere di cose. Ogni brano ha la sua.

Ecco parliamo di Rocky Roberts, tra l’altro il pezzo che apre il disco. Perché questa scelta? Certo, racconta fin da subito chi siete, ma magari c’è dell’altro…

Ci siamo resi conto fin da subito che Rocky Roberts sarebbe stato il modo migliore per presentare Kriminals! Non è la somma esatta di tutte le sonorità che compongono il disco, ma sicuramente è una delle più efficienti. Abbiamo lavorato assieme a Ette in studio per rendere il ritornello ancora più efficace, ci sono tantissimi cori e ha uno sviluppo molto lineare con alcuni momenti davvero divertenti. Ovvio che c’è dell’altro, ma è all’interno del disco. Se mi stai chiedendo da dove venga il nome, allora devi sapere che una sera d’estate avevo assistito inerme all’ennesima puntata di Teche Teche Tè, dedicata questa volta a Rocky Roberts. Arrivato alle prove, attacchiamo a suonare il pezzo e, mancando ancora un testo, comincio a cantare in italiano, ma con la sua cadenza: «Questa sera, a prender ti verròu!» e via dicendo, tentando di unire il modo e le parole con le quali i cantanti dell’epoca parlavano di relazioni e ragazze a una serie di volgarità inaudite e parecchio gratuite. Il risultato era esilarante, così alle prove successive cominciammo a dire: «Facciamo Rocky Roberts?» È diventato il titolo. Al di là di questo, è un pezzo che ci piace molto, nel quale cantiamo tutti e tre. Ci ricordavamo di tutte le soddisfazioni che Uh, Sha La La La! ci aveva dato all’uscita di Farewells And Pillows, di quanto quella canzone sia piaciuta, e sapevamo che avremmo dovuto cercare un pezzo altrettanto divertente.

Parliamo dei testi? Chi scrive e, soprattutto, quali tematiche affrontate?

Scrivo io i testi, sono di quelli che se gli viene in mente una buona strofa oppure un concetto che reputo interessante me lo segno dove capita e poi lo infilo in un qualche cassetto. Spesso mi riferisco ai nostri pezzi come drammaticamente autobiografici, e quel drammaticamente è legato allo sconforto che si potrebbe provare ascoltando certe cazzate che scrivo. Scherzi a parte, mi piace scrivere i testi: come esercizio, come catarsi, come metodo per mettere in fila i pensieri. Mi guardo molto intorno, penso al mondo in cui viviamo, alle relazioni che abbiamo con gli altri, e molto spesso scrivo di persone. Non ho mai cercato di inventarmi qualcosa che non sono, di scrivere solo per avvicinarmi a un genere o di scimmiottare i testi di qualche band che ammiriamo, alle volte basta semplicemente raccogliere i pezzi di ciò che si prova, ricordarsi di quel pomeriggio, quella sera, di quella persona, di quel posto. In quanto a testi, Kriminals! è molto più frammentato di Farewells And Pillows, ci sono tante immagini, tante situazioni e a volte le parole si rincorrono proprio come i miei pensieri mentre li mettevo in ordine. Ho preferito lasciarli scorrere anche se a volte non mi sembravano perfetti. Mi piace molto passare da un linguaggio diretto e schietto a uno più fumoso e metaforico, alle volte le parole meno chiare sono le più espressive. È un disco che racconta di tutte quelle persone che incontriamo ogni giorno, che ci costruiscono e ci distruggono semplicemente con una parola, a volte senza volerlo. Ci sono brani che parlano di quadri suburbani, di case che vanno a fuoco, di relazioni impossibili, del tempo che si passa fissando lo schermo del cellulare alla ricerca di qualcosa, della pioggia d’estate; ci sono sirene che cantano, occhi blu, cantanti anni ’60 che imperversano, buchi neri, aerei che si schiantano su edifici in fiamme, stelle cadenti e umanoidi appena riassemblati e piuttosto confusi. Oltre a questo, i brani parlano della difficoltà di trovare qualcuno disposto ad ascoltare seriamente, di come veniamo spesso lasciati da soli, sabotati. Parlano della difficoltà di trovare anime affini. Parlano di come ci si sente dopo, e di come a volte noi stessi siamo tutto questo per qualcun altro. Credo che le relazioni tra le persone siano alla base di tutto: da un disaccordo può nascere una guerra, così come dall’intesa può nascere qualcosa di stupendo. La protesta è contro chi sabota questi meccanismi, li plagia, li manipola per ottenere qualcosa, ferendo le persone e impedendole di essere ciò che vogliono.

Le band che più hanno influenzato la vostra musica?

Ci siamo tutti incontrati sul punk rock, per cui sappiamo che se parliamo di Alkaline Trio, Misfits, Blink 182 e Social Distortion parliamo la stessa lingua. Non me la sento di dire però che le influenze siano onnipresenti, ci piace suonare come viene. So di per certo che ognuno di noi ha il suo stile e le sue direzioni, che risuonano all’interno dei brani magari anche solo per pochi secondi. Se ascolti bene è capace che ci senti qualcosa dei Type O Negative, dei Ministri, qualche groove legato più al rap che al punk, ci piace avere dei riferimenti, ma non vogliamo che suonare come qualcun altro sia il nostro obiettivo. Vogliamo essere ascoltati per la musica che facciamo, non perché somigliamo a qualche altra band più blasonata. Molto spesso quando una band come la nostra si fa sotto con della nuova musica, parte la gara a chi trova più similitudini con qualche band famosa: è un po’ come se senza un paragone la tua musica non avesse nessun diritto di esistere. È successo (e succede ancora) che venissimo accostati a band che nessuno di noi tre ha mai ascoltato seriamente, in quei casi ci guardiamo e ci diciamo: «Eh?». Questa cosa capita spessissimo con le band meno conosciute, l’eredità musicale con la quale bisogna fare i conti è immensa e pesante, ma credo che chi ascolta e chi scrive dovrebbe impegnarsi, oltre a riconoscere dei riferimenti, anche a giudicare il prodotto in sé, laddove perlomeno ci sia un sano tentativo di fare qualcosa di nuovo. Magari questo non è nemmeno il nostro caso, ma in passato siamo stati accostati agli Smash Mouth… Cioè, ti rendi conto? Gli Smash Mouth, quelli di All Star. Robe incredibili.

Un passo indietro, ora. Kriminals! Come detto, è il secondo disco degli Shonan, il successore di Farewells and Pillows del 2017. Sicuramente, a livello artistico, siete cresciuti molto negli ultimi anni, ma il vostro pensiero sembra rimasto invariato. Quali sono secondo voi le differenze tra i due lavori?

Volevamo fin da subito che Kriminals! fosse un disco più fragoroso, più potente. Ci piace pensarlo come a un fratellino minore di Farewells And Pillows, che ha imparato tante cose dal fratellone, ma che poi ha fatto le cose a modo suo. Abbiamo lavorato sulla stesura dei pezzi, sulla dinamica dei brani, cercando sempre di inserire dei momenti di stacco che spezzassero un po’ la linearità, facendo tante cose che in F&P non avevamo fatto. Come ho detto, abbiamo seguito il nostro mood, aprendo una porta dopo l’altra, e quando abbiamo ritenuto fosse arrivato il momento siamo entrati in studio. Ci piace notare le differenze tra un lavoro e l’altro, significa che il nostro è un discorso che non si è ancora esaurito.

A Parma che si dice? La scena musicale…

La scena musicale non esiste più, ormai da tanto tempo. Ci sono tante band e tante persone che suonano, ma la scena la fanno i posti, la fa l’unione degli intenti e la voglia di guardarsi negli occhi e dire “andiamo”. Ci sono dei momenti in cui tutto questo accade, e saltano fuori delle situazioni splendide e vere, ma solitamente sono lasciate cadere e nessuno se ne cura. Purtroppo la pandemia ha costretto tantissimi locali a chiudere, e dove prima si organizzavano i concerti adesso non c’è più nulla. Come al solito, la divisione genera solo altra divisione, e chi ne ha le possibilità si tiene i suoi privilegi e fa ben poco per creare qualcosa di duraturo coinvolgendo altre persone. Un tempo le band si spalleggiavano tra di loro, partivano in tour assieme, si scambiavano i concerti e creavano legami che sono durati degli anni, andando poi a trasmettere questo a chi ascoltava. Non che questo non accada ancora, ma sono casi isolati, purtroppo. A parte questo, a Parma ci sono delle band valide, e altrettanti progetti musicali degni di nota, genuini; ma senza un adeguato contesto che le valorizzi tutte queste cose rimangono ferme dove sono, ci si guarda da lontano senza interagire. È comunque un atteggiamento diffuso. Dal lato nostro, abbiamo band amiche che stimiamo, sia a Parma che in altre città, ci piace creare dei collegamenti, credo che in questo preciso momento storico sia importante non muoversi completamente da soli. Alcune di queste band hanno scritto della gran musica e dei pezzi davvero niente male, e quando mi capita di pensarlo glielo dico senza problemi, magari chiedendo loro come sono arrivati a concepire quel brano, o quell’arrangiamento. A volte succede anche il contrario, ma in generale credo siano tutte energie positive che si mettono in circolo.

Progetti futuri?

Sicuramente suonare il più possibile, portare in giro Kriminals! e farlo ascoltare alle persone. Ci piace sentire cosa la gente pensa di noi e dei nostri pezzi, e di come chi ci segue accoglie le nostre mosse. Vogliamo continuare a restituire alla musica ciò che lei ha dato a noi. Non abbiamo intenzione di fermarci, abbiamo da parte molta musica sulla quale lavorare e non vogliamo passi ancora così tanto tempo prima di uscire con qualcosa di nuovo. Forse in italiano questa volta, è un po’ che ne parliamo, chi lo sa…

Fatti una domanda e datevi una risposta. Sicuramente non vi ho chiesto qualcosa…

Allora facciamo che ci chiediamo dove e quando poterci trovare e ascoltare. Prendete nota: i nuovi singoli, Rocky Roberts e Suburban Hayez li potete trovare su tutte le piattaforme digitali. Kriminals! uscirà per intero il 15 ottobre in digitale (c’è un link per il pre-save sui nostri canali), ma se lo volete avere in anteprima Cd Digipak potete venirci a trovare su Instagram o Facebook, e scriverci un messaggio direttamente da lì, siamo gentili e FB dice che di solito rispondiamo entro pochi minuti. Grazie a tutti!

 

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