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“Essere senza destino”

Di Adriana La Trecchia Scola

 

E’ il titolo del libro che ha rivelato al mondo lo scrittore ungherese Imre Kertesz (vincitore nel 2002 del Nobel per la letteratura).Ci e’ voluto del tempo perche’ accadesse:il capolavoro fu scritto nel 1960,ma fu pubblicato con scarso interesse solo nel 1975.In seguito,dopo la caduta del Muro di Berlino,e’ stata la pubblicazione in Germania che ha dato successo all’ opera e all’ autore.Lo stesso Kertesz disse:”Propriamente non ho ricevuto in nessun luogo tanto affetto quanto me ne ha dato quella Germania dove vollero uccidermi.Berlino divenne la vita,Budapest l’ esilio”.L’ autore fu internato quindicenne ad Auschwitz tra il 1944 e il ’45 quando a Budapest arrivarono i nazisti comandati da un alto ufficiale di nome Adolf Eichmann.Fino allora i residenti in citta’ credevano di essere dispensati dal feroce trattamento delle SS.Il libro e’ stato scritto “con l’ intenzione di portare a termine la catastrofe di Auschwitz” in quanto “con un simile peso non si poteva cominciare una vita nuova”.Il protagonista del romanzo Gyorgy,detto Gyurka (trasposizione dell’ autore) dice:”non esiste assurdita’ che non possa essere vissuta”,”il prezzo da pagare e’ accettare qualunque punto di vista”.Kertesz,col suo carattere dolce e gentile,non ha mai amato la retorica che accompagna il ricordo della tragedia (troppe celebrazioni).Infatti non gli piaceva Schindelr’s List,mentre apprezzava La vita e’ bella perche’ era l’ unico modo possibile di raccontare “l’ inavvicinabile”.Il giovane Gyurka racconta tutto “con la voce furtiva,in un certo senso vergognosa della sua stessa insensatezza,la voce di un desiderio sommesso quanto ardente:poter vivere ancora un pochino in quel bel campo di concentramento”.Secondo Kertesz “nelle dittature ogni uomo e’ trattato come un bambino e tenuto in uno stato di ignoranza e bisogno”.Percio’ “l’ inavvicinabile” risulta come un succedersi di momenti “ordinari” della “quotidianita'” verso la morte:momenti in cui “persino la’,accanto ai camini,nell’ intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliava alla felicita'”.Dopo la liberazione Kertesz si trova spaesato in un mondo altro dove anche chi non era stato in un campo di concentramento si lamentava di aver fatto qualsiasi cosa per sopravvivere.La sua presenza era quasi tollerata dagli altri,ma l’ inumano era essere insopportabili a se’ stesso.Chi e’ sopravvissuto all’ orrore si sente inappropriato e fugge la nausea con il suicidio (Amery,Celan,Levi).Kertesz  trova la sua vita nello scrivere:”la letteratura e’ uno sconvolgimento abissale” e in questo stravolgimento puo’ vivere.La scrittura divenne “l’ unica maniera per restare in rapporto con l’ offesa profonda subita”. “Scrivo per sentirmi a casa,affinche’ almeno per un attimo possa sentirmi di nuovo a casa,pur nella nostra fuga dall’ inumanita’,dall’ alienazione,dall’ esilio:una casa che per me significa la vita e la morte”. Una storia simile e’ quella della conterranea e amica Agnes Heller.Come scrive in “I miei occhi hanno visto” l’ arrivo dei sovietici fu “la giornata piu’ felice della sua vita:la liberazione dal nazismo”.Ben presto pero’ si rese conto che liberazione non significa liberta’,e la liberta’ e’ fragile e pesante perche’ richiede responsabilita’. Kerestz :”le dittature trasformano gli uomini in infanti,in quanto non permettono loro di compiere le loro scelte esistenziali,privandoli dello splendido peso della responsabilita’ personale”. Inizialmente Agnes era diventata comunista,ma poi aveva “visto” la falsita’ e la spietatezza del sistema sovietico.Gli intellettuali che elaboravano un marxismo umanitario (meno ideologico,piu’ attento ai bisogni della gente) venivano ostracizzati e perseguitati.La Heller ricorda che durante un controllo da parte della polizia comunista tremava come quando era venuta la Gestapo a prenderla nel grande  ghetto di Budapest. “Il terrore era un fantasma che ti seguiva dovunque:al lavoro,per la strada,tra le stesse mura di casa”. Dopo varie peripezie sia Kertesz sia Heller tornarono a Budapest (dove adesso riposano per sempre) perche’ la vita deve ricominciare.La loro scrittura e’ il tentativo di porre un argine “all’ incanto quotidiano del male” che e’ connaturato alla natura umana.Oggi i nazionalismi (come tutti gli ismi) esprimono quell’ odio insopprimibile dell’ uomo. In una intervista del 1983 Marguerite Duras afferma:”Non credo piu’ nelle virtu’ della politica.Penso che dovremmo arrangiare le cose,limitare il dolore.Ma credo anche che non potremo cambiare la societa’.C’e’ una disfunzione interna alla societa’.Irrimediabile.Assolutamente irrimediabile…Per prima cosa,l’ uomo non e’ un animale intelligente.La sua natura e’ malefica.E’ una malefica emanazione di Dio.Questo e’ definito e definitivo.L’ uomo e’ fatto per distruggere,annientera’ sempre ogni proposta atta a migliorare il suo destino.L’ uomo ama il suo destino per cio’ che e’:gli si presenta,e lo annienta.Questa e’ la sua grandezza,questo e’ l’ intollerabile del mondo”.Secondo la Duras questo non e’ pessimismo ma guardare la realta’ dei fatti.In ognuno di noi c’e’ una pulsione omicida,negarlo e’ da moralisti (niente di peggio della morale:puo’ essere quella cristiana ma anche politica o culturale).La scrittrice francese non si pentiva di aver aderito per molti anni al comunismo,ma ne riconosceva l’ errore. “La vita e’ tentacolare,ti porta verso cose piu’ grandi di te,verso una cosa che chiamo alterita'”. A fine ottobre e’ scomparso l’ americano Mike Davis,definito dal profeta del cyberpunk degli anni ottanta e novanta William Gibson,il piu’ cyberpunk scrittore del genere (l’ urbanistica).I suoi studi sulle metropoli sono fondamentali,in particolare le connessioni tra storia ambientale ed economica.Davis credeva in una rigenerazione dell’ analisi marxiana di fronte ai disastri della globalizzazione.Cio’ che Davis ha indagato,oltre al declino del potere contrattuale dei lavoratori,e’ il destino del “radicalmente altro”,del non identico,soggetto a ogni sorta di esclusione,fino allo sterminio.”L’ economia globale e la mobilita’ universale del capitale,prive di controparte,costituita dai diritti dei lavoratori,ci conducono-virtualmente per definizione-verso un mondo dominato dal terrore.L’ unica posizione etica possibile e’ la non-cooperazione rivoluzionaria:il rifiuto di riconoscere in qualsiasi modo i confini,il controllo e la prescrizione di interi gruppi di persone definite ‘aliene’ o ‘illegali’.” Secondo Davis svelare la mostruosita’ del capitalismo d’ oggi “significa mostrare la bizzarra combinazione di sadismo e sentimentalismo lezioso che costituiscono il cuore della cultura di massa.Significa confrontarsi con la morte e la sofferenza di bambini a ogni fluttuazione internazionale dei tassi d’ interesse.L’ abisso morale e’ senza fondo”. La lotta contro questo meccanismo cinico e feroce deve diventare un fatto d’ ogni giorno.Anzi attenzione ai fascismi di tutti i giorni (l’ espressione e’ di un film del 1995 del regista sovietico Michail Il’ic Romm) perche’ il fascismo si rigenera continuamente come desiderio delle masse e di chi sta al potere.

 

A day in the life e’ la traccia conclusiva del disco Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967) dei Beatles.E’ stata scritta da John Lennon e Paul McCartney.E’ considerata unanimamente dai critici non solo un capolavoro della musica pop,ma una vera opera d’ arte.Nella registrazione in studio,insieme all’ orchestra,erano presenti anche Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones.Il testo e’ ricchissimo di significati e rimandi a fatti e ricordi che  ispirarono la sua scrittura.Forse il senso piu’ profondo della canzone e’ che la vita si rinnova costantemente (ogni giorno ne contiene un altro).

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