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FALANGI – L’incidente di Tony Iommi

 

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Moltissimi musicisti, prima di dedicarsi a tempo pieno all’arte, hanno dovuto arrangiarsi e hanno dovuto guadagnarsi da vivere come ogni comune mortale, lavorando qui e lì. Il sogno è grande, il talento è molto, ma la vita, quella vera, quasi sempre se ne fotte. Gli artisti che hanno raggiunto il successo ricordano spesso i momenti duri della propria giovinezza, i sacrifici, e ringraziano, capacità a parte, la buona stella che ha saputo renderli grandi. Eppure, a un chitarrista in particolare poteva davvero andare tutto storto, perdita definitva del sogno, a prescindere dalla buona o dalla cattiva stella. Incredibile, di fatto, la storia del grande Tony Iommi, fondatore, compositore, capo e figura sempre presente dei Black Sabbath, dal 1968 al 2017.

Okay, facile capire dove stia andando a parare, ma questa storia è talmente bella e significativa da dover essere raccontata anche dal sottoscritto.

Da giovanissimo, quello che sarebbe diventato uno dei chitarristi più importanti del heavy e dell’hard rock lavorava in una fabbrica di Birmingham, la sua città. Non amava quel posto, ma come detto di sogni soltanto non si può certo campare. Tuttavia, a Tony mancava davvero pochissimo, d’altronde già aveva spiegato a quelli della fabbrica che se ne sarebbe andato da lì a breve per girare, chitarra in mano, da professionista l’Europa. Il provino con i Jethro Tull era andato effettivamente bene e il 1968 avrebbe potuto realmente cambiargli per sempre la vita, così aveva rassegnato le dimissioni. Restava però un solo giorno da spendere in fabbrica, un solo giorno di lavoro duro, poi il rock and roll lo avrebbe portato con sé. Certo, quella mattina l’addetto della macchina per saldare le lastre di metallo non si era presentato in ditta e Tony avrebbe dovuto portare avanti il discorso al suo posto, nessun altro avrebbe potuto farlo, ma perché mai preoccuparsi? Tra poco, tanti saluti alla fabbrica, alle macchine, alla pressa per il metallo e via, sui palchi di mezzo mondo. La sfortuna, ahimé, complicò tutto. La macchina, durante un’operazione, si chiuse. Tony provò a tirare indietro la mano destra, a fuggire dalla pressa, ma non ci fu praticamente nulla da fare. Egli quel giorno perse le falangi superiori del dito medio e di quello anulare. Nessuna possibilità, in ospedale, di ricucire le parti mozzate. Cazzarola, e pensare che il giovane dopo la pausa pranzo nemmeno avrebbe voluto tornare a lavoro, fu la madre a obbligarlo. Due dita fuori uso, un problema che ovviamente spaccherebbe l’anima a ogni chitarrista. E così in effetti accadde: in convalescenza, Tony si ritrovò depresso, sconsolato e rassegnato. Destino, maledetto e fottutissimo destino…

Un bel giorno il principale andò a trovarlo a casa con in mano un disco di Django Reinhardt, l’incredibile chitarrista sinti capace di scrivere la storia del jazz a partire dagli anni ‘30 e che aveva saputo affascinare e influenzare migliaia di suonatori in tutto il mondo. Non una scelta a caso, assolutamente. Dopo aver girato l’Europa da nomade, Django si fermò infatti a Parigi, e proprio lì, in seguito all’accidentale incendio della sua roulotte, egli perse l’uso di una gamba e quello effettivo della mano sinistra. Anulare e mignolo andati, o meglio, per sempre legati dalla cicatrice. In poche parole, Django Reinhardt divenne una leggenda della chitarra jazz nonostante il gravissimo handicap.

Seppur controvoglia, Tony Iommi posizionò il disco sul piatto e iniziò ad ascoltare ciò che il suo titolare gli aveva portato. La tecnica del jazzista, fenomenale a dispetto della menomazione, riaccese in lui la fiamma, fece scattare la scintilla. Egli poteva e doveva continuare a esprimersi con il suo strumento, proprio come era riuscito a fare il buon Django.

Gli inizi furono duri, molto duri, ma quanta roba ancora oggi ci fa godere: l’omonima Black Sabbath del primo disco, War Pigs, Iron Man e la title track del celebre Paranoid, forse il capolavoro del gruppo, Children of the Grave, Symptom of the Universe del 1975, tratta da Sabotage. Titoli buoni, insomma, cosine carucce capaci di entrare semplicemente in tutte le antologie del rock and roll e nella leggenda.

Ragazzi, eppure la storia è storia…

L’incidente, la depressione, Django Reinhardt, l’incoraggiamento del suo ex principale e un sogno da alimentare. E ancora, finte punte di dita in pelle, esperimenti sulla chitarra e, più di ogni altra cosa, la voglia di suonare al massimo e in ogni caso rock. E se la musica dei Black Sabbath da oltre cinquant’anni continua a riempire le nostre giornate, beh, gran parte del merito è di Tony, un uomo che ha saputo rinascere dalle proprie ceneri, dal proprio dolore. +

Per non farsi mancare nulla, nel 1997, dopo anni di carriera, il fondatore del grande gruppo delle West Midlands, ha anche ricevuto un prestigioso omaggio dalla Gibson, l’azienda madre della sua fedelessima SG.

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