A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Ebbene sì, accadde anche al Re. Popolarità, maledetta popolarità: oggi sei al top, domani no, ora su, ora meno su…
Il grande pubblico, folgorato dalla british invasion e non più così attratto dalle ultime e modeste pellicole, in un certo senso voltò le spalle a Elvis. Ehi, ho appena nominato Elvis Presley, l’origine di tutto, non so se mi spiego, la figura più importante in assoluto, la più nota, quella che ha saputo miscelare e rendere propri rock and roll, blues, country, pop e molto altro, dettando le leggi della moda e influenzando i musicisti di tutto il mondo;
Elvis Aaron Presley, classe 1935, un miliardo di dischi venduti in tutto, un centinaio di straordinari singoli, oltre seicento canzoni e ogni tipo di riconoscimento possibile…
Vicenda assolutamente paradossale e di sicuro inopinata, ma la leggenda delle leggende, nella seconda parte dei ‘60, dovette fare i conti con un netto calo di risonanza. Un decennio e passa di gloria, di venerazione, di adorazione, roba da far impallidire persino una divinità, e a un tratto la necessità di trovare nuove vie per riprendere in mano la situazione. Sia chiaro, Elvis aveva interpretato al meglio delle sue possibilità le parti da protagonista nei film, incassato milioni e regalato canzoni indimenticabili ben inserite nel contesto (su tutte Love Me Tender del 1956, Jailhouse Rock del 1957 o Can’t Help Falling in Love del 1961, tratte rispettivamente dai lungometraggi che conosciamo con i titoli Fratelli Rivali, Il delinquente Del Rock And Roll e Blue Hawaii), a scapito però del palco e, in parte, della musica stessa, del suo effettivo e magico universo.
Toccò chiaramente al mitico (e ambiguo) manager personale, allo scaltro Colonnello Tom Parker, sistemare le cose: un assistito da riportare sul trono, questo il solo obbiettivo. L’impresario nativo di Breda, Olanda, un uomo che seppe riscrevere le leggi dello show business e che affiancò Elvis per circa vent’anni, optò subito per una pausa dal mondo cinematografico.
La voce, la presenza scenica, l’abbigliamento, i proverbiali e inimitabili movimenti durante le esibizioni dal vivo, le stravaganze e l’innato carisma, a partire dalla seconda metà dei ‘50, avevano presto condotto un semplice ragazzo di Tupelo, Mississippi, verso la gloria eterna e, nonostante i risultati ottenuti con la recitazione, nulla avrebbe potuto sostituire il palco. Saltarono fuori diverse situazioni interessanti, ma l’idea di uno spettacolo televisivo per festeggiare il Natale e con il Re ospite d’onore sembrò la più vantaggiosa ed efficace per tutte le parti coinvolte.
Un musical ben fatto, la pensata di base, ma in definitiva ben altra cosa, specialmente pensando al valore storico, culturale, simbolico e iconologico.
Prodotto dalla NBC, all’epoca la più importante emittente statunitense, lo show venne in seguito battezzato ‘68 Comeback Special. Affidandosi alle idee innovative del regista Steve Blinder, Elvis si preparò alla grande per l’evento, ammaliato dal pensiero di poter tornare alle origini e quindi di poter indossare nuovamente le vesti da rock star, riposte nell’armadio e sostituite da quelle dei vari personaggi da portare in vita davanti alla macchina da presa.
Lo speciale venne registrato nel giugno del 1968 e trasmesso, come detto, prima delle feste natalizie, per l’esattezza il 3 dicembre.
The Pelvis si presentò al pubblico in forma smagliante, curatissimo, asciutto, bello come il sole e con un completo nero; giacca e pantaloni in pelle creati dal rinomato vestiarista Bill Belew, colui che si occupò a partire proprio dal ‘68 dei costumi di scena del cantante.
Su un palco allestito a mo’di ring e accompagnato dai suoi storici musicisti, Elvis regalò uno spettacolo a dir poco pregevole.
Il Re tornò così nel suo solo universo, quello della musica, e tornò per non lasciarci più…
In scaletta, tra le varie esecuzioni, i medley dei grandi successi riarrangiati orchestralmente (Trouble, Heartbreak Hotel, Hound Dog, Can’t Help Falling in Love, Jailhouse Rock, Blue Suede Shoes e via dicendo), le canzoni più recenti, alcuni brani gospel e la conclusiva If I Can Dream, scritta per l’occasione da Walter Earl Brown in memoria di Martin Luther King, assassinato due mesi prima dell’inizio delle riprese.
Il ‘68 Comeback Special fu il programma più visto della settimana, entrando prepotentemente nella storia della televisione americana e aggiungendo un capitolo importante nel grande libro della cultura pop.
Elvis, che aveva interrotto le esibizioni in pubblico nel 1961, trovò nuove sicurezze grazie allo show e, soprattutto, il bisogno viscerale di cantare dal vivo. Come accennato, le aspettative furono di gran lunga superate: non uno show natalizio, bensì l’ufficiale rentrée del grande divo.
Il Colonnello Parker, sfregandosi le mani (mi spiace, ma questo e da sottolineare), si mise immediatamente al lavoro per poter garantire ingaggi pesanti al suo caro cliente, che fino alla conclusione dei suoi giorni e malgrado i diversi problemi personali continuò a sfoggiare in giro la sua immensa classe.
Per sottolineare l’ultimo periodo dell’artista è doveroso tirare in ballo il contratto d’esclusiva con l’International Hotel di Las Vegas (dal 1969 al 1976 più di seicento concerti sold out con la nuova TBC band) o l’Aloha From Hawaii, il concerto del 13 gennaio 1973 di Honolulu, trasmesso via satellite in quaranta paesi e con più di un miliardo di telespettarori. E a questo punto, bisognerebbe aprire un nuovo infinito volume zeppo di aneddoti, di storie, di immagini e di lucentezza…
Ciò che balza oggi all’occhio e che ancora ci sorpende dopo quasi cinquantacinque anni è alquanto lampante: la leggenda di Elvis Presley passa obbligatoriamente dal magnifico, commovente e incommensurabile ‘68 Comeback Special della NBC. Nessuno potrà mai affermarlo con certezza, ma forse, senza tale evento, il mondo non avrebbe potuto godere a pieno del Re.
A livello discografico, l’album contente lo speciale venne pubblicato nel novembre del ‘68 dalla RCA Victor Records. E chiaramente parliamo di un superdisco.