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IL ROCK DEL DESERTO – Dai Kyuss ai Queens Of The Stone Age

 

 

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Desert rock suona fottutamente bene, anche meglio di stoner rock. Sinonimi, possiamo dire, ma il primo suona davvero bene. Prendiamola però dal punto giusto. Dunque, elementi principali: ovviamente il deserto, la brutalità, la rabbia ipnotica e le particolari distorsioni. La città di nascita è Palm Springs, nella Contea di Riverside, California, a circa centottanta chilometri da Los Angeles. Ci troviamo nella zona desertica della Valle di Coachella, tutto è abbastanza fermo e selvaggio. Sembra di stare in una fottuta cartolina Made In Usa. E fa caldo, molto caldo, il clima è torrido, arido e asciutto. Le strade sono letteralmente ustionate dal sole. C’è la polvere, ci sono i coyote e ci sono i cactus. Ci si annoia un pochino a Palm Springs, ma la grande musica è chiaramente arrivata anche qui. Il doom metal, il punk, il blues e l’acidità dell’universo psichedelico hanno raggiunto quest’area e i ragazzi del posto, dopo aver studiato i Black Sabbath, i Grateful Dead e gli altri mostri sacri dei settanta, hanno deciso di collegare agli amplificatori i propri strumenti e di miscelare tutti i vari ingredienti raccolti. Il piatto finale è unico e soprendente. I cuochi principali sono il cantante John Garcia, il chitarrista Josh Homme, il bassista Chris Cockrell e il batterista Brant Bjork. Loro sono prima i Katzenjammer, poi i Sons of Kyuss e infine soltanto i Kyuss. I ragazzi iniziano a provare cose nel 1987, ma soltanto nel 1991, con l’ingresso in formazione di Nick Olivieri al posto di Chris Cockrell, riescono a pubblicare e a farci sentire le prime devastanti tracce. Il disco è Wretch, un lavoro duro, sporco, grezzo e cavernoso. Le chitarre accordate un tono sotto rendono la proposta ancor più cupa e appunto desolante, desertica. C’è dentro il fuoco di Palm Springs e ci sono dentro l’hard rock, il doom metal e persino il blues. La musica dei Kyuss prende spunto da tante cose, ricorda diversi generi, ma allo stesso tempo non assomiglia a nulla, è tremendamente originale. Sporca, ipnotica e allucinata perché del resto si fuma erba, molta erba, e si è sempre abbastanza fatti e stonati. Già, appunto: stoned. Il nome di battesimo del genere appena uscito dal grembo prende spunto proprio dagli effetti allucinogeni e alteranti della maria. Abbiamo un marchio di fabbrica, abbiamo un gruppo e abbiamo un suono. Da Palm Springs, California, ecco a voi lo stoner o, meglio ancora, come detto in apertura, il fottutissimo desert rock. I Kyuss, che per attitudine e scelta artistica non possono dominare il mondo o le classifiche, sanno sfornare capolavori di inaudità ferocia e di assoluta rarità. Il già nominato Wretch è lo sporchissimo punto di partenza, Blues for the Red Sun e Welcome To Sky Valley, usciti nel 1992 e nel 1994 (il secondo con il nuovo bassista Scott Reeder in squadra), sono probabilmente le due opere principali dello stoner.
I Kyuss si sciolgono ufficialmente nel 1995, dopo il quarto capitolo …and the Circus Leaves Town, ma i vari musicisti non perdono tempo e si immergono in nuovi interessanti progetti. Portano avanti le idee e sviluppano ulteriormente la formula. Addirittura possiamo dire che gran parte della discografia stoner/desert sia da accreditare proprio ai componenti dei Kyuss (il solo John Garcia, dal 1996 al 2007 è presente negli Slo Burn, negli Unida e negli Hermano, mentre Brant Bjork dal 1997 al 2001 pesta forte nei Fu Manchu, band da lui stesso prodotta per la prima volta nel 1994).
Il nome più importante però, quello più noto e senza nulla togliere agli altri, è chiaramente quello di Josh Homme, il grande leader dei Queens Of The Stone Age, gruppo che nel corso del tempo è anche riuscito a portare lo stoner a un pubblico più grande. Di che pasta sia fatto il musicista lo sappiamo grazie a Kyuss: chitarra accordata due toni in meno e jack collegato all’ampli del basso, tanto per intenderci, questo per ottenere un risultato ancora più scuro e pesante. Ma non è soltanto lo stile musicale a rendere Josh un grande del rock. Nel 1996, prima di fondare i QOTSA, entra negli Screaming Trees del compianto Mark Lanegan, uno dei suoi grandi amici, e nel 1997 dà vita al progetto Desert Sessions. Nel mitico Joshua Tree, in una vecchia abitazione diventata studio di registrazione, il fighissimo Rancho De La Luna, il cantante/chitarrista coinvolge un bel po’ di conoscenti e di colleghi per scrivere e per registrare in breve tempo brani inediti. Sessioni improvvisate o quasi, per l’appunto, e ci si diverte parecchio. Il risultato delle Desert Sessions è contenuto negli oltre dieci volumi pubblicati e distribuiti, che vedono presenti in ordine sparso anche personaggi come Billy Gibbons degli ZZ Top, Ben Shepherd dei Soundgarden, il batterista Josh Freese o PJ Harvey. Come se non bastasse, il musicista californiano nato nel 1973 suona basso e batteria negli Eagles of Death Metal (sì, quelli del Bataclan), accanto al cantante Jesse Hughes, e nel supergruppo Them Crooked Vultures, insieme a John Paul Jones, mitico bassista dei Led Zeppelin, e al grande drummer Dave Grohl.
Il capolavoro di Josh Homme resta comunque Songs For The Deaf del 2002. Acclamato da critica e pubblico, il terzo dei Queens Of The Stone Age entra, senza esagerare, nella lista dei più grandi album rock. A ispirare la scrittura di Josh, i viaggi in auto nel deserto della California e l’involontario, a causa dei diversi segnali, continuo cambiamento delle stazioni radiofoniche. Ne viene fuori un concept esageratamente sanguigno, grezzo, ancora una volta psicotico e di forte natura settantiana. Ne viene fuori, come detto, un’opera straordinaria, con canzoni fortissime e con addirittura gli interventi sparsi di dj con nome fittizio, interpretati da figure amiche della band. Songs For The Deaf prende il meglio dei Kyuss e apporta diverse novità al genere, definendo al meglio quello che continuo a considerare il rock del deserto. Tra le principali idee, l’approccio un po’ più frenetico e la ricerca più convinta di linee melodiche. La formazione è strafiga, oltre che amalgamatissima: Josh Homme (voce e chitarra), Mark Lanegan (anche lui voce e chitarra), Nick Olivieri (basso) e, udite udite, proprio Dave Grohl (batteria). Le due voci si intrecciano perfettamente e si completano, il basso ha un tiro devastante (Olivieri è straordinario) e i colpi di Dave, beh, devo dirlo io o lo dite voi?
Tra i crediti è possibile leggere anche un sacco di altri nomi più o meno importanti. Insomma, possiamo quasi parlare di un collettivo musicale, considerando anche il fatto che Josh Homme sia rimasto fino a oggi e al freschissimo In Times New Roman… l’unico membro fisso.
I lavori dei Kyuss e dei Queens Of The Stone Age, a mio parere soprattutto Blues for the Red Sun e Songs For The Deaf, sono molto più rilevanti di quanto si possa pensare, quantomeno per aver dato inizio a una vera e propria scuola di pensiero, granitica e metaforicamente piena di sabbia. Recuperate tutto, signori, se non conoscete. E se conoscete, riascoltate come se fosse la prima volta perché rimarrete comunque sorpresi. La bellezza di pezzi come No One Knows, Go with the Flow o God Is In The Radio non può passare inosservata. Ah, per non parlare dell’unica ballata acustica del disco, Mosquito Song, una perla meravigliosa, struggente e dannata.

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