di Andrea Taranto
Pensiero numero 5.
“La vita è la più monotona delle avventure: finisce sempre allo stesso modo”.
R. Gervaso
Sono molti anni oramai che tengo un diario in cui, come una sorta di Zibaldone leopardiano (con tutte le proporzioni del caso), annoto: o acriticamente un giorno, un periodo, un episodio della mia vita, o un testo, una poesia, o un tentativo di racconto, o comunque, più in generale, pensieri che riguardano tutto ciò che mi capita davanti (un ex-aequo di queste pagine, sì può dire).
Ma soltanto con poche persone ho avuto una confidenza tale da far leggere loro alcune sue pagine; e ogni volta durante la lettura un senso di vergogna, quasi di inferiorità, non abbandonava mai il mio volto, poiché qui ci sono scritte “cose” molto personali e intime: e mettersi completamente a nudo davanti a una persona, esporre così i propri più veri sinceri reali sentimenti, è un atto di coraggio fortissimo. Ma ciò vale naturalmente per ognuno di noi: la paura del giudizio e della mancata comprensione altrui è un atroce timore.
Fatta questa piccola ma necessaria premessa, oggi vorrei condividere con voi, non una poesia di Pascoli o non un pensiero di Einstein, come accaduto nelle pagine precedenti, ma più umilmente la mia prima poesia che ho scritto. Nel 2013.
Il 2013 per me è stato un anno molto difficile, così un giorno io e mia madre decidemmo di andare al “Santuario della Madonna della Guardia” per cercare un po’ di pace nell’animo, almeno per un pomeriggio. Sulle panche della Chiesa, sulle quale mi fermai a meditare per molto tempo, io chiesi a Gesù, a Maria, e a tutti i Santi, di starmi accanto in quel periodo non semplice, di guidarmi a una vita più serena, e di tirarmi fuori da alcune situazioni complicate.
E, dopo aver concluso queste preghiere e aver ascoltata la Santa Messa, tornammo a casa: con il cuore già più rinfrancato da quel luogo benedetto.
Una volta rientrati, quello stesso pomeriggio, sentii dentro di me una invincibile forza, una invincibile ispirazione e una invincibile motivazione di mettermi a scrivere.
Ebbene, in questa particolare cornice, scrissi la mia prima poesia: la prima di alcune.
Nonostante essa sia una semplice, ingenua, breve poesia, non posso che ricordarla con un particolare affetto, perché è come se rappresentasse un simbolo dell’inizio di qualcosa, qualcosa di bello… finalmente! Questo piccolo componimento è l’unico tra tutti che ricordo a memoria, e, nei momenti di noia più assoluta, o di buco, ogni tanto me la recito a memoria, mentalmente, per passare il tempo.
Me la ricordo, e me la ricordo bene! Perché, come per tutte le prime volte della vita, così la prima poesia non si scorda mai.
Ma basta parlare a vanvera, ecco il testo da cui è cominciato tutto, in cui è incominciata la mia scrittura, in cui è incominciata la mia vita.
Io non sono sicuro
Di esser maturo
In questa mia vita
Ancora in salita
Piena di ostacoli
Per me insuperabili
Vorrei soltanto trovare
Un equilibrio mentale
Per non stare più male
O sempre o basta
Io sono in gabbia
Ne vorrei uscire
Per divertirmi e vivere
E gridare al mondo intero e a Dio
Che qui ci sono anche io
Vieni e portami via
Dalla mia malinconia
Solo tu hai la chiave prendila
E aprila
E come un’aquila
Tornerò a volare Sopra il mio mare
Con te accanto Tutto d’incanto
Il dolore è andato passando.
Avevo allora diciassette anni, e da allora sono passati quasi otto anni: venticinque anni di ricordi e parole.
Tratto dal libro “Pensieri” di Andrea Taranto.
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