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Resilienza

 

 

Articolo di Adriana la Trecchia Scola

Le piante, che sono il nobile fulcro dell’ ecosistema, hanno alcune apprezzate virtù, quali: la lenta sopportazione, l’immobilità e il costante lavoro. Tali caratteristiche sono considerate un modello positivo di resilienza, che è la capacità di adattarsi alle situazioni sfavorevoli, anzi traumatiche, per trasformarle nel modo di acquisire competenze migliori. Infatti quello che oggi interessa è il saper affrontare gli ostacoli fornendo, però, un’eccellente prestazione. Insomma conta il risultato perchè tutto deve essere produttivo, quantificabile secondo criteri utilitaristci. Quando si è verificata la rivoluzione industriale, e quindi l’affermarsi di un sistema capitalistico di produzione dei beni e servizi, si credeva nelle “magnifiche sorti e progressive”, ossia nello sviluppo continuo e felice per l’umanità. Le cose non sono andate in questo modo, se si considera che l’evoluzione tecnologica non ha reso l’uomo libero dai bisogni ma, al contrario, lo ha assoggettato al costante consumo. Nella Ginestra, penultima lirica di Giacomo Leopardi, vengono criticate queste concezioni ottimistiche, che sono fiduciose e un pò ottuse, perchè preferiscono rifugiarsi in opinioni false e rassicuranti piuttosto che prendere consapevolezza della tragica condizione esistenziale. Secondo Leopardi il progresso scientifico, per quanto ineluttabile non è per forza accompagnato dall’avanzamento dell’arte, o meglio non c’è un’automatica reciprocità tra felicità e progresso. Il suo è un razionalismo pessimista tanto che nello Zibaldone scrive: “L’uomo (e così tutti gli altri animali) non/ nasce per godere della vita, ma solo per/ perpetuare la vita, per comunicarla ad altri/ che gli succedano, per conservarla.(…) il/ vero e solo fine della natura è la/ conservazione della specie e non la/ conservazione nè la felicità degli individui”. Il nobile fiore della ginestra, che con i suoi cespugli profumati abbellisce le campagne desertificate, diventa simbolo del coraggio e della resistenza estrema di fronte a un destino inevitabile perchè lo accetta con umiltà. A differenza dell’uomo, che pur essendo fragile e debole continua a credersi immortale, la ginestra sopporta con dignità il male che gli “fu dato in sorte”. Quello che non è cambiato dai tempi del poeta è la tendenza a preferire le false convinzioni piuttosto che scoprire l’amara verità. Il modello socio-economico iperliberista, che si è affermato rovinosamente, ha assuefatto l’uomo ad usi e abitudini perverse che lo incatenano come uno schiavo. Non per criticare velletariamente la scienza (la tecnoscienza), ma le sue conquiste oggi rappresentano una condanna in quanto sono diventate il fine e non il mezzo (per vivere). Il giovane Nietzsche scrisse nelle Considerazioni inattuali, e nello specifico quella su Schopenauer come educatore, “Il mondo…è avviluppato nelle sciocchezze, e queste, certamente non sono soltanto dogmi religiosi, ma anche concetti scipiti come “progresso”, “istruzione generale”, “nazionale”, “Stato moderno”, “battaglia per la laicità”, anzi si può dire che tutte le parole generali portano in sè una lucidatura artificiosa e innaturale, per cui posteri più illuminati faranno al nostro tempo soprattutto il rimprovero di essere contorto e deforme, per quanto noi meniamo gran rumore sulla nostra ‘salute’ “. Si potrebbe quasi rimproverare Nietzsche di ingenuità, se non che “Allo Stato non interessa mai la Verità, bensì sempre e soltanto, la verità che gli è utile, o per meglio dire, tutto ciò che gli è utile, sia verità, mezza verità o errore”. “Ciò che gli affaristi vogliono, quando chiedono incessantemente istruzione e cultura, non è altro, appunto, che un affare”. Del resto risulta emblematica la critica alla scienza: “La scienza sta alla saggezza come la virtù alla santificazione: essa è fredda e arida, non ha amore e non sa niente di un profondo sentimento di insoddisfazione e di nostalgia. È utile a se stessa quanto è nociva ai suoi servitori, perchè trasferisce su di loro il proprio carattere e ammuffisce così, per così dire, la loro umanità. Finchè per cultura si intenda sostanzialmente l’incremento della scienza, questa passa oltre il grande uomo sofferente con freddezza spietata, perchè la scienza dappertutto vede soltanto problemi della conoscenza e perchè, a dire il vero, il dolore entro il suo mondo è qualche cosa di inopportuno e di incomprensibile, e quindi tutt’al più e, ancora una volta, un problema.” Anche nel passato privo dei pervasivi sviluppi tecnologici attuali risulta insopportabile ad una coscienza ‘libera’ la tirannia del modello egemone, che poi è ricalcato sull’american way of life: consumista, classista, violento, reazionario. Un tipo eccentrico che scardina le false certezze è John K. Toole (americano 1937-1969) autore del romanzo  cult Una banda di idioti, pubblicato postumo perchè in vita trovò solo rifiuti dagli editori in base alla giustificazione che “il libro non parla di niente”. Invece è un pamphlet irridente e dissacratorio che non risparmia nessun aspetto del mondo fasullo che ci tocca. Il protagonista è un alter ego dell’autore (ma anche un Grande Lebowski in nuce), fannullone, obeso, sporcaccione, ipocondriaco, che ha deciso di intraprendere una lotta senza esclusione di colpi contro tutto e contro tutti. Insofferente al perbenismo e ai luoghi comuni, odia il mondo al punto di attuare una sorta di abbruttimento fisico e sociale. “Mi rifiuto di ‘cercare di migliorarmi’. L’ottimismo mi dà il voltastomaco; è perverso. Sin dalla sua caduta, l’uomo è sempre stato in misere condizioni”. “Le manette e le catene hanno, nella vita moderna, funzioni del tutto diverse da quelle per le quali concepite. Se io fossi un costruttore edile e lavorassi in periferia, le installerei sulle palazzine di nuova costruzione. Scommetto che la gente, ormai stanca di guardare la televisione e di giocare a ping-pong, prima o poi proverebbe a incatenarsi, magari con soddisfazione. In breve tempo, diventerebbe l’occupazione preferita. Si sentirebbero mogli confidare alle amiche:”Ieri sera mio marito mi ha incatenata. È stato stupendo; voi avete mai provato?”. I bambini, dopo la scuola, correrebbero a casa dalle mamme già pronte a metterli in catene. Ciò avrebbe il duplice scopo di ridurre la delinquenza giovanile e di coltivare la fantasia che molto spesso nei ragazzi è obnubilata dalla televisione”. Il problema è che la derisione può essere feroce ma il sistema (tecno-capitalista) fagocita implacabile ogni elemento estraneo, così annullandone la carica eversiva.

Gli Alt-J sono un gruppo musicale inglese, costituitosi nel 2007, che ha vinto con l’album di debutto (An Awesome Wave del 2012) il prestigioso premio Mercury Prize, mentre con il tour per il secondo disco ha riempito il Madison Square Garden di New York. In pratica se c’è una band che si pone lungo i confini tra indie e mainstream sono loro, capaci di convincere sia la critica che il grande pubblico. Il nome deriva dai comandi alt+J sul computer Mac, con tastiera inglese, per ottenere la lettera greca delta, che nelle equazioni matematiche è solita rappresentare variazione, così come la nascita del gruppo significò un passaggio importante nella vita dei loro componenti. Al di là delle etichette e definizioni quello che conta è la buona musica, che non sceglie mai la strada più facile (scelta coraggiosa nell’epoca dello streaming!), ma si basa sulla contaminazione di stili diversi (indie, folk, pop, rock) e sulla rinuncia a trattare un unico tema, in modo da affrontare argomenti ora leggeri ora seriosi. È quello che accade in The Dream, quarto album in studio pubblicato all’inizio del 2022, dove predomina l’eclettismo tra elettronica e alt-folk. Nel terzo singolo, Hard Drive Gold, il cantante Joe Newman con una melodia surf ironizza su chi crede di potersi  arricchire velocemente con le criptovalute. Per la prima volta, Newman riveste anche i  panni del regista del videoclip con la compagna Darcy Wallace.

 

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