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SENZA TROPPI FRONZOLI Intervista a Francesco Grandi e a Omar Macchione dei Qvintessence

 

A cura di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

La faccio breve. Controllo la casella di posta elettronica, spulcio con attenzione il contenuto e ascolto il materiale in cuffia. Ehi, ferma! Cazzo, e questi? Come si chiamano? Qvintessence da Bologna, DeepOut Records. Spaccano! Rock crudo e diretto come un cazzotto sul naso, eseguito alla grande e in maniera intelligente. Questa è la primissima impressione del sottoscritto. La seconda? Raggiante, ho ascoltato il disco tre o quattro volte in un pomeriggio. Approfondisco, allora. La band emiliana, nell’omonimo disco d’esordio butta dentro praticamente il meglio della scuola rock americana, tinteggiando però suoni e liriche con il proprio spirito creativo. Ci sono i Soundgarden del compianto e da me amatissimo Chris Cornell, per esempio, e ci sono i grandi della scena Hard Rock. E ci sono ovviamente loro Francesco Grandi, Omar Macchione, Luca Nicolasi e Giacomo Calabria, perfetti uno vicino all’altro. Tutto calza, fidatevi; il lavoro è figo, prodotto bene, piacevolissimo all’ascolto e, come detto, puramente rock. Contattare questi signori, beh, più di un obbligo. Alle domande rispondono il bravissimo vocalist Francesco e… il bravissimo chitarrista Omar Macchione. Sì, sono fottutamente bravissimi entrambi!!!

Benvenuti, ragazzi, è un grande piacere avervi qui. Partiamo ovviamente dalle presentazioni. Chi siete e che cosa fate?

 

Grazie, piacere nostro. Siamo Omar e Francesco e siamo il 50% dei Qvintessence, rispettivamente chitarrista e cantante della band. Gli altri componenti sono Luca Nicolasi al basso e Giacomo Calabria alla batteria.

 

Il vostro omonimo album d’esordio, inutile girarci intorno, è una bomba. Mi ha preso di brutto fin dal primo ascolto. Complimenti a parte, quanto siete soddisfatti del lavoro e, soprattutto, cosa rappresenta per voi Qvintessence?

 

Intanto grazie. Ci fanno sempre molto piacere i complimenti sinceri. Siamo molto soddisfatti di questo disco e Qvintessence rappresenta la prima opera di questo progetto che intendiamo come la massima espressione del nostro linguaggio musicale collettivo.

Amate definire la vostra proposta rock senza troppi fronzoli. Difficile non essere d’accordo, anzi, impossibile, con certi pezzi nello stereo e nelle orecchie. Nel disco troviamo sonorità alla Soundgarden, giusto per fare un nome, ma anche elementi più classici dell’hard rock. Tuttavia avete trovato la vostra identità, qualcosa di davvero personale. Ecco, come è nato il discorso? Avete impiegato tempo per trovarvi davvero?

I brani li abbiamo scritti tutti noi due e sono il risultato dei nostri diversi linguaggi musicali (Prog e affini da una parte, Hard Rock ‘70, Grunge e Stoner dall’altra). Siamo nati come duo acustico (Remedy Acoustic Duo), proponendo cover per alcuni anni, poi l’esigenza di scrivere brani originali è nata da sé, in modo del tutto spontaneo e velocemente: infatti la fase compositiva del disco è durata pochi mesi.

 

I due singoli estratti, Ghosts e Focus on the crash, sono potenti, accattivanti, praticamente irresistibili. Perché avete scelto queste canzoni per presentarvi al pubblico?

 

I singoli sono stati scelti insieme alla nostra etichetta (DeepOut Records), riconoscendo in quei brani i ritornelli più catchy…

 

Il rock ha centinaia di sfaccettature, di volti, può ritrarre alla perfezione ogni momento, ogni emozione umana e toccare sempre le corde giuste. Voi avete seguito l’istinto, la giusta linea. Bee, per esempio, presenta momenti soft e distorsioni ruggenti. A mio avviso, una delle migliori tracce del disco. Okay, questa è più una riflessione che una domanda, ma vorrei conoscere il vostro punto di vista…

 

Sicuramente siamo due musicisti con un approccio compositivo più magnerista che “accademico”, e traiamo ispirazione principalmente da ciò che ascoltiamo. I testi invece nascono dall’esigenza di liberare le nostre emozioni, e un brano come Bee ne è un chiaro esempio.

 

Devastante poi, Not Against Me. Come è nata questa canzone?

 

La musica del brano è stata composta quasi quindici anni fa da Francesco, in una fase più Trash/Heavy Metal. Il testo, invece, è stato scritto più tardi e parla della rabbia provocata dall’abbandono.

E le vostre preferite, quali sono? Io mi sono sbilanciato…

 

Ahahahaha, hai fatto bene a sbilanciarti, infatti per Francesco è Bee mentre per me (Omar) è My Dark Side.

L’album non è proprio un concept, lo avete detto voi, ma le canzoni sono legate. Qual’è la chiave di lettura?

 

Permettici una risposta più criptica: la chiave di lettura è rappresentata dal pagliaccio in copertina e a consolidare questa nostra consapevolezza è stato il nostro grafico Antonio Magro, che dopo due giorni lo aveva già disegnato.

 

Attraverso i testi e alla bellissima voce di Francesco, invece, cosa amate raccontare?

 

Amiamo raccontare le nostre fragilità nel linguaggio più istintivo possibile, come se la musica fosse una liberazione e una cura per le nostre anime.

 

Parliamo della produzione perché il disco suona dannatamente bene. Come sono andate le cose in studio? Chi ha lavorato con voi?

 

Sicuramente ci sono stati tanti professionisti che hanno collaborato con noi. Le registrazioni le abbiamo fatte al Crossover Studio Di San Lazzaro (BO) con Marco Lipparini. Successivamente il disco è stato mixato da Michele Suzzi presso il suo studio e, infine, masterizzato da Giovanni Versari. Due brani invece sono stati registrati e mixati allo Z Factory di Carpi, sempre da Michele.

 

E del clown in copertina, visto che già avete accenato qualcosa, cosa mi dite? Anche io ho trattato l’argomento. Cazzo, i pagliacci sono sempre affascinanti e inquietanti al contempo, e non necessariamente per via di It…

 

L’idea del pagliaccio nasce da una citazione di Jim Morrison: «Penso a me stesso come a un essere umano intelligente e sensibile, ma con l’anima di un pagliaccio che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante.»

Okay, messaggio di Jim arrivato. Colpiti e affondati. Ora, le vostre influenze sono piuttosto evidenti. Perciò provate a fregarmi. I dischi della vostra vita?

 

Per quanto mi riguarda (Omar) sono nato e cresciuto con i dischi di Prog più classico come Tree of a perfect pair dei King Crimson o Arbeit macht frei degli Area e Metal come And Justice for All dei Metallica. Per quanto riguarda Francesco invece Superunknown dei Soundgarden, Black and Blue dei Rolling Stones e Led Zeppellin II

 

Attività live. Che si fa?

 

Si cerca di suonare il più possibile anche perché il rock è essenzialmente live.

 

Escludendo il fatto che, se non lo sapessi, inserirei i Qvintessence nella lista delle band di Seattle e, di conseguenza, più dentro a un altro mercato, cosa pensate della situazione musicale nel nostro fottuto Paese? Io non penso bene, a dire il vero…

 

Ciclicamente le mode si ripropongono. Non ci perdiamo d’animo! Noi continuiamo a lottare per i nostri valori, consci del nostro valore.

 

Possibili rimedi?

 

Spegnere il cellulare e accendere il giradischi.

Salutate i lettori di MDN, lasciando i vostri link di riferimento e un bel messaggio rock…

Stay Rock Dudes!!! ci si vede sotto il palco!

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