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STELLA DELLA STRADA Nascita di un gioiello rock

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Molte grandi canzoni sono nate per caso e in pochissimo tempo. Un’idea da cogliere al volo, una chitarra, un minimo di melodia e via, pronti per spiccare il volo. Miracoli della musica, in pratica. Ci sarebbero molti esempi a confermare, ma la storia di Highway Star, uno dei superclassici dei Deep Purple e dell’hard rock in generale, è davvero particolare.

Siamo nel lontano 1971 e la storica band di Hatford è in viaggio sul proprio tourbus per raggiungere l’Hampshire e Portsmouth per il concerto della serata. In Rock del 1969 e Fireball del 1971 hanno già detto molto e messo in risalto le qualità, la forza e lo spirito del gruppo. La famosa Mark II, composta da Ian Gillan alla voce, Ritchie Blackmore alla chitarra, Roger Glover al basso, Jon Lord alle tastiere e Ian Paice alla batteria, ha regalato al mondo pezzi rock della Madonna, destinati a cambiare il mondo musicale, roba come Speed King, Child In Time, Fireball o The Mule, mica cazzatine…

Facile che qualcuno volesse conoscere magari i fatterelli capaci di ispirare la stesura di canzoni tanto valide e importanti. Un reporter, spinto dalla professionale curiosità, si avvicina quindi al gruppo per porre qualche domanda sulla scrittura dei pezzi. Sì, insomma, come prende vita una canzone dei Deep Purple? Blackmore la fa semplice, prende in mano la sua acustica e, senza pensarci più di tanto, improvvisa un riff. Gillan non deve fare altro che seguire il chitarrista con la sua voce. Il nuovo brano nasce dal nulla, sotto gli occhi di un giornalista, in maniera semplice e naturale.

Nobody gonna take my car.
I’m gonna race it to the ground.
Nobody gonna beat my car,
it’s gonna break the speed of sound.

Addirittura i Deep Purple decidono di portare la canzone sul palco di Portsmouth la sera stessa. Il pezzo, e che pezzo, è talmente figo da essere scelto come traccia d’apertura di Machine Head del 1972, il più grande successo della band e il primo disco sotto la Purple Records, etichetta fondata proprio dai manager di Gillan e compagni. Ah, giusto per ribadire il concetto, nella tracklist è presente una certa Smoke On The Water

La versione di Highway Star del disco, quella che tutti conosciamo, è ovviamente il risultato dello splendido lavoro del gruppo e delle varie intuizioni dei fenomenali componenti; il ritmo elettrizzante, l’innovativo utilizzo dell’Hammond da parte di Jon Lord, l’assolo pazzesco di Ritchie Blackmore, considerato giustamente tra i più belli mai inscisi, e la potenza vocale di Ian Gillan spiegano esplicitamente al mondo che cos’è il rock. Il testo, lo spericolato grido d’amore di un uomo rivolto alla propria fottuta auto, è on the road ai massimi livelli, materiale da immediato ritiro della patente.

Oh, it’s a killing machine,
it’s got everything.
Like a driving power, big fat tires
and everything

 

Se Highway Star non è la perfetta canzone hard rock, poco ci manca. Pensando poi al tourbus e all’improvvisata della coppia Blackmore e Gillan, il tutto assume contorni prodigiosi.

Cosa dovete fare, adesso? Far girare Machine Head o, ancor meglio, l’impeccabile live Made In Japan, forse in assoluto il più bel disco rock registrato dal vivo. L’esecuzione di Highway Star del 16 agosto del 1972 al Festival Hall di Osaka, in Giappone, è adrenalina pura e testimonia l’eccellente stato di forma della Mark II.

 

 

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