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SULTANI L’ispirazione di Mark Knopfler

Di Riccardo Gramazio (Ricky Rage)

Serata di pioggia. Periferia inglese. Un uomo entra in un locale per ripararsi dall’acquazzone. All’interno un’anonima band jazz si sta divertendo sul palco. Il posto è scialbo, semplice, semideserto. Eppure i musicisti, non proprio delle cime, suonano con passione, con genuinità e con autenticità. In fondo è giusto così perchè questi sono ingredienti fondamentali del mestierante. I membri della band hanno tutti un impiego, un impiego vero, che permette loro di mangiare, di pagare affitto o bollette. Di fatto, riuscire a suonare nel fine settimana sembra rappresentare l’unico traguardo, l’unico grande traguardo. E’ vero, il club è proprio piccolo, è davvero spento, ma non importa. Ciò che conta è darci dentro, sfruttando a pieno le proprie capacità e la propria vocazione.
Abbiamo George, Guitar George, e il suo strumento consumato. Egli conosce gli accordi delle canzoni e suona con convinzione. E poi abbiamo Harry, per nulla interessato al successo o alla vita da stella. Sì, come già detto, la musica non rappresenta una fonte di guadagno, ma solo un enorme piacere. Suonare, suonare e suonare, così per il gusto di farlo, per trascorrere il venerdì serà e, chissà, per sfogare eventuali frustrazioni.
Nell’angolo del locale ci sono giusto dei ragazzi alla moda. Sembrano piuttosto bevuti, persino annoiati. Beh, a loro non interessa l’esibizione. Chiacchierano del più e del meno, sbronza permettendo. Forse nemmeno si sono accorti della musica e della band. In fondo per i giovanotti il rock and roll è un’altra cosa…

And a crowd of young boys they’re fooling around in the corner.
Drunk and dressed in their best brown baggies
and their platform soles.
They don’t give a damn about any trumpet playing band.
It ain’t what they call rock and roll,
and the Sultans played creole

Il cantante a un certo punto si avvicina al microfono per augurare la buonanotte. Svelto, senza troppo ardore, saluta i pochi presenti e ricorda il nome della band. Lo show è finito, alla prossima.
Questa storia vi è famigliare? Immagino di sì. Il gruppo ha un nome, un nome nobile, totalmente in contrasto con lo scenario: Sultani dello Swing. Cazzo, i Sultani! Cioè, nobiltà! Un paradosso esagerato.
E l’uomo entrato nel locale? Ovvio, anche lui ha un nome. Faccio io o fate voi? Faccio io: Mark Knopfler, lo straordinario leader, cantante e chitarrista dei Dire Straits, che nel 1977 decide di raccontare l’episodio e di regalare al mondo un pezzo immortale, uno di quelli che non è possibile non amare con tutto il cuore. Fantastico, irraggiungibile, immortale.
Ispirato dall’esibizione di quel gruppo, il giovane Mark torna allora a casa, abbraccia la sua chitarra acustica e compone la favolosa Sultans Of Swing. La canzone rappresenta alla perfezione il metodo Knopfler, caratterizzato da piacevolissimi fill, dal grande virtuosismo (mai però fine a sé stesso) e dalla raffinatezza degli assoli. Un botta e risposta continuo tra voce e strumento, destinato a far brillare per sempre la luce dei Dire Straits, una luce segnata sopratutto dal blues, dal rock and roll e dal country. La tecnica di Knopfler, l’uomo tranquillo del rock, a dominare la scena. Tanta roba, tantissima roba.
Sultans Of Swing, pubblicato nel 1978, è presente nel primo omonimo album della band anglo-scozzese. Disco, giusto per ricordarlo, da dodici milioni di copie vendute.
Serata di pioggia. Periferia inglese. Un uomo entra in un locale, per ripararsi dall’acquazzone. All’interno un anonima band jazz si sta divertendo sul palco…
I Sultani dello Swing stanno per entrare nella storia, nella storia di tutti noi.

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