A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage
Nato da un’idea del cantante Lorenzo Zizzi, ma diventato presto un discorso a due con l’ingresso del batterista Gian Piero Nicolì, il progetto Matrioska Social Club ha trovato finalmente corpo. L’omonimo primo disco si presenta diretto e tagliente, rock e viscerale. Le canzoni sono rabbiose e, ahimé, colme di questo fottuto disincanto che siamo costretti a ingerire a forza ogni giorno. Colpa nostra o colpa della fintissima società? Che dire, pensandoci, noi siamo la fintissima società e i ragazzi provano a raccontarlo, attraverso suoni e parole più che graffianti. In sintesi, nuove e pungenti chiavi di lettura potrebbero richiamare la vostra attenzione e magari portarvi a diverse riflessioni…
Eccoci, via di presentazioni. Chi siete?
Ciao! Il nostro nome è Matrioska Social Club, Lorenzo Zizzi (chitarra e voce) e Gian Piero Nicolì (batteria). Siamo tante cose e poche cose al tempo stesso. Siamo il tentativo di generare un mondo collettivo che genera tanti sottogruppi e partecipazioni con altri artisti, al tempo stesso siamo un power duo rock che esprime le proprie idee musicali e sociali.
Finalmente avete in mano il vostro primo album. Come ci si sente?
Ci si sente soddisfatti, ci vuole tanta ostinazione e una grande forza di volontà, essere persuasi e sicuri di quello che si sta facendo. Diciamo che realizzare un album non è una cosa che succede per caso, come tante altre cose che richiedono risultati.
Parliamone, allora. Disco omonimo, magari per fare in modo che si stampi bene nella testa degli ascoltatori il vostro marchio. Rock crudo, alternativo, talvolta vicino allo stoner. Come definireste il vostro sound?
Disco omonimo perché devi avere un titolo che non sia banale e che rappresenti tutti i brani, rendendone giustizia. Ci piaceva l’idea del prestare più attenzione al nome e a tutto il concetto che gira attorno. Il nostro sound è figlio di tante influenze, com’è nella natura dell’esistenza artistica. Lo definiremmo granitico e al tempo stesso fluttuante.
Alibi e Regina Cadente sono stati i pezzi di presentazione. Perché questa scelta?
Semplicemente perché ci sembravano i brani più facili da assimilare ai primi ascolti.
Chitarroni e rabbia, in piena tradizione, ma anche la vostra visione del mondo. E si sa, il mondo fa piuttosto cagare. Quanto siete avversi al sistema? E quali sono le cose che più vi fanno incazzare…
Beh, siamo nel neoliberismo, finta democrazia, finta gentilezza, finta benevolenza, finte missioni di pace, finta prevenzione alla salute collettiva. Diremmo che, se c’è qualcosa che più ci fa incazzare, è la finzione su cui si basa tutto. Alle volte anche l’impegno sociale diventa una mera facciata, una finzione, come sono finti i nostri rapporti, a lavoro, in società, tutta questa finta cortesia, quando siamo tutti presenti per fini che del nostro prossimo non ci importa nulla. Perché il neoliberismo tradotto in sintesi è questo: l’individuo che procaccia per sé e la sua ristretta cerchia contro il mondo intero. Il genere umano è sempre più propenso allo scontro, per ora con cortesia, col tempo penso che la situazione possa solo peggiorare. Ma è un gioco già predefinito, siamo convinti di essere dentro un disegno sperimentale, dal quale pare non ci sia scampo.
Di fatto anche i testi non badano a spese…
No, anzi, direi che spendono abbastanza. Sono venuti fuori così e ci sta bene.
Chi scrive i brani?
Io (Lorenzo)
Leggermente più morbida Scimmie Metropolitane? Gran pezzo, secondo me, malinconica ma a mio avviso anche claustrofobica. Ne parliamo?
Sì, in parte lo è, proprio perchè è introspettiva, come tutto l’album del resto. Poco fa parlavamo di finzione, ecco, Scimmie Metropolitane mette in evidenza tutto quello che crediamo di essere, ma che in realtà fondamentalmente non siamo. Non siamo quello che ci hanno raccontato di essere. Bisogna essere coraggiosi e prendere coscienza per poter abbracciare il nostro io più sincero.
A chiudere il disco Stupidi Eroi, una pseudo ballad che profuma di nichilismo. Ecco, presentiamo anche questa canzone. Ciò che dite del venerdì e della domenica, nella seconda strofa, mi suona davvero familiare…
Sì, c’è anche del nichilismo, ma al tempo stesso c’è un invito a riflettere su quello che è diventata la vita quotidiana. Abbiamo industrializzato anche il nostro tempo e lo facciamo risultare una virtù che in realtà non è. Anche il nostro modo di legarci a un branco, a pseudo-tribù per affermare un senso comune che in fondo non sta bene a nessuno. Ma se ce lo ripetiamo in gruppo, alla fine, ci convinciamo che sia l’unica via che si possa percorrere. È una vita spesa male.
Come sono andate le cose in studio? So che avete registrato a Bologna e che il bravo Michele Guberti ha messo le mani successivamente.
In studio siamo stati capitanati da Giovanni Garoia detto “Vanni” (che salutiamo calorosamente) che è una persona molto Zen. Un altro al posto suo avrebbe perso la pazienza nella situazione che avevamo davanti: poco tempo a disposizione e la testardaggine di voler raggiungere il numero di otto brani che ci eravamo promessi di registrare con modifiche strutturali in corso d’opera, ma per fortuna Vanni ci ha dato fiducia e la giusta serenità per affrontare il tutto nella più totale leggerezza possibile. Lo stesso Vanni ci ha consigliato di fare un lavoro di post-produzione. Alla fine siamo arrivati al Natural HeadQuarter Studio, dove abbiamo trovato esperienza e competenza riguardo alle produzioni e post-produzioni e Michele Guberti (che salutiamo calorosamente) si è preso cura del nostro lavoro e lo ha fatto suo, ci siamo trovati subito in sintonia, ha compreso verso che direzione sonora volevamo andare a parare e abbiamo definito il tutto.
State già promuovendo il lavoro anche dal vivo?
Sì, ma andiamo avanti per gradi, man mano aumenteremo il numero di presenze sulla scena, dobbiamo coordinarci per bene, probabilmente abbiamo bisogno di un terzo componente e cioè di un fonico che ci segua e soddisfi le aspettative sonore del quale abbiamo bisogno. Può sembrare un paradosso, ma non lo è: il power duo proprio perché non ha un basso a impostare la base melodica, ha bisogno di un’impostazione tecnica/sonora ancora più meticolosa. Quindi vediamo pian piano come possiamo uscirne fuori nella maniera più opportuna possibile.
Beh, la domanda sorge spontanea. Musica in Italia? Non si naviga in buonissime acque, soprattutto nel circuito underground…
Eh sì, anche la risposta sorge spontanea. Ci sono sicuramente tante insidie da superare, ma non ci scoraggia nulla di tutto ciò. Andiamo avanti fin dove si riesce, se non ci saranno evoluzioni significative nel panorama underground, dovremmo inventarci qualcosa. Vediamo, siamo fiduciosi.
I gruppi e i dischi della vostra vita?
Sono troppi, dovremmo darti una lista ben definita. Preferiamo non nominarne nessuno perché li reputiamo tutti dischi e artisti della nostra vita e sarebbe veramente poco rispettoso rischiare di escluderne qualcuno. Diciamo che in prevalenza attingiamo da gruppi storici e al mondo molto rinomati e che hanno poco a che vedere con quello che abbiamo sviluppato in questo album.
Progetti futuri?
Step successivo lavorare al secondo album, promuovere e suonare il più possibile in giro e conoscere altri musicisti, progettare collaborazioni laddove c’è stima e simpatia reciproca, poi ci sono altre idee in ballo ma non vogliamo renderle pubbliche per il momento, lo faremo solo quando saranno messe in pratica.
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