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Vivere per morire

DI ADRIANA LA TRECCHIA SCOLA

Nella pièce Roulette balcanica, scritta nel 2001 dal croato Drazan Gunjaca, si riflette sul concetto di identità, ma anche di umanità e sul perchè o come nasce una guerra. “La guerra non è finita nel nostro cortile con il paracadute. Qualcuno l’ha dovuta organizzare. O almeno permetterla”. “D’altronde, di che cosa vuoi parlare in questi tempi allucinanti? Noi abbiamo avuto la nostra vita, non è vero? Abbiamo cose da ricordare. Solo che questi ricordi stanno sfuggendo, non posso riappropriarmene: è come se tra loro e la realtà, ci fosse un baratro”. Accade che si conduca la propria esistenza sulla base di certezze apparentemente solide, che vengono accettate anche per una forma di inevitabile fatalismo; ma poi, dall’oggi al domani, le cose inspiegabilmente cambiano. E allora non c’è scampo, perchè indietro non si può tornare, in avanti risulta impraticabile, così si rimane impantanati nel mezzo. Il film dell’anglo-irlandese Martin McDonagh, Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Insherin), parla della solitudine difronte alla morte, dell’insensatezza dell’esistenza, di come ognuno di noi non trova il modo giusto di non sprecare il poco tempo a disposizione, ma finisce per agire goffamente come esseri umani. Si può definire un film filosofico, dove contano la complessità delle domande poste, più che le risposte date. Sicuramente non rappresenta una storia ampia e rassicurante che può piacere a Hollywood. Infatti anche se ha ricevuto nove candidature agli Oscar, la famosa Academy lo ha snobbato lasciandolo a bocca asciutta. Del resto un film impregnato di bellezza, colline verdi e rocciose,strade di campagna che collegano le case, animali liberi, pub accoglienti e mare selvaggio, non sembra avere molto in comune con la realtà americana, fatta di autostrade, centri commerciali e una generale bruttezza. La raffinatezza dell’opera e del suo autore (che ha una formazione teatrale) consiste nel prendere un materiale semplice come la lite tra due amici, espandendolo solo attraverso pungenti dialoghi, e svilupparlo a dismisura per farne un trattato filosofico che fa ridere, piangere ma soprattutto lascia spiazzati. La storia è ambientata su una isoletta immaginaria, al largo della costa occidentale irlandese, dove si trova questa piccola comunità all’apparenza pacifica. L’equilibrio si rompe insensatamente quando due amici smettono di esserlo per decisione unilaterale. Da una parte c’è Pádraic, considerato un sempliciotto ma gentile, dall’altra Colm, più consapevole di cosa è il mondo ma anche scontroso. Quest’ultimo non vuole più accontentarsi della monotonia asfissiante che scandisce la sua vita e decide di non perdere altro tempo in stupide chiacchiere, dedicandosi a qualcosa che resti nel tempo, come comporre musica per violino. Purtroppo Pádraic si ostina a volere una spiegazione di questo rifiuto e fa il contrario di quello che gli viene chiesto, incattivendosi progressivamente. Infatti sempre più duro e cattivo, man mano che la sua natura “gentile” si inaridisce, sentenzia “Ci sono cose che non si superano”. A niente servono i tentativi di riappacificazione da parte di altri componenti del villaggio, mentre proprio a causa di una situazione totalmente inaspettata e inedita nella piccola comunità si propaga il caos. La vicenda si svolge esattamente cento anni fa, nel 1923, al tempo della guerra civile (fratricida) irlandese scoppiata tra chi aveva sostenuto il Trattato dello Stato libero d’Irlanda, sotto il controllo della Gran Bretagna, e chi invece riteneva che l’Irlanda potesse essere libera solo se si fosse sottratta per intero dal dominio britannico. La rottura tra i due amici è una metafora della insensatezza che divide chi aveva un legame apparentemente insolubile. (La grandezza del cinema risulta dalla sua universalità: l’attuale conflitto Russia-Ucraina vede contrapposti popoli legati da un vincolo fraterno). “Perché sta succedendo? Non era meglio quando combattevamo insieme?”, si chiedono due astanti del pub di Inisherin mentre leggono un quotidiano con le ultime notizie dell’Irlanda trucidata dal conflitto. Il ricatto dell’automutilazione delle dita, non importa se non realistico, sottolinea la natura autolesionista di un conflitto fratricida. Il perfetto esempio di un “gioco” in cui, comunque vada, perdono tutti. In realtà anche l’ambizione a una sorta di immortalità dello spirito è metafora delle promesse di fare la storia che i potenti hanno sempre strumentalizzato per portare i popoli a uccidersi reciprocamente in guerra. Oltre ad essere simbolo del cd. ideale dell’ostrica (di verghiana memoria), secondo il quale la povera gente fin quando resta legata ai propri valori e ambiente vive sicura, invece se ha smànie di miglioramento nascono problemi. Un altro tema è quello delle vittime innocenti, incolpevoli per natura e che dovrebbero essere riconosciute tali anche dai contendenti. Qui sono rappresentate dagli animali che hanno stretti rapporti con i protagonisti: il cane elegante e intelligente per Colm, l’asino goffo e ottuso per Pádraic. Il sacrificio della povera asinella Jenny ricorda un episodio violento di Pan, il romanzo più noto del norvegese Knut Hamsun (Premio Nobel per la letteratura nel 1920). L’opera esprime il viscerale rapporto con la natura (il panismo), nel quale sono compresi tre elementi: ossessione, avversione per la modernità, solitudine. La frustrazione del protagonista si manifesta nello sconcertante episodio dell’uccisione del proprio cane (Esopo), per mandarne il corpo morto alla donna desiderata ma anche disprezzata. Le banshee del titolo originale sono nella tradizione irlandese gli spiriti femminili che si aggirano per i desolati paesaggi presagendo il destino e la morte con i loro lamenti. Nel film il mito  si materializza nell’anziana signora McCormick, considerata una “strega” dalla comunità locale, e per questo sempre evitata accuratamente. Il significato è che le conseguenze delle azioni umane sono tutt’altro che prevedibili, eppure si preferisce far finta di non vederle. Questa tragedia grottesca si basa su un impianto teatrale, che sta nei pressi dell’assurdo beckettiano, per cui non conta tanto il senso delle azioni ma il senso dei caratteri contrapposti. L’unico personaggio che esce di scena positivamente è Siobhán, la sorella di Pádraic, a cui si chiede di rinunciare alla propria intelligenza solo perchè è costretta a vivere in un mondo di uomini. Ella è l’unica che tenta di comportarsi in modo ragionevole in quanto simbolo dell’estraneità delle donne alla guerra degli uomini. Tale aspetto richiama un altro film che era candidato all’Oscar per la migliore interpretazione femminile, Tár di Todd Field. La protagonista Lydia Tár (interpretata magistralmente dalla più grande attrice vivente Cate Blanchett) è una compositrice e direttrice d’orchestra che ha raggiunto l’apice della carriera, ma un esercizio “maschile” del potere, ossia prevaricante e minaccioso, la porta all’autodistruzione. Sarà la dittatura del politically correct, ma oggi si tende a fare ammenda dei propri errori non tanto per ripararli quanto per costruirci sopra una storia edificante. L’ assegnazione dei premi Oscar ha dimostrato di nuovo che Hollywood rimane Hollywood, alla ricerca di storie facilmente comprensibili, commoventi e che fanno hype (più post su internet più successo!). È il caso di Brendan Fraser (l’ex belloccio degli anni duemila) vincitore per la migliore interpretazione maschile, che incarna alla perfezione il “grande riscatto”: prima vittima del Sistema e di se stesso, poi riaccolto come grande attore. Probabilmente ciò non si verificherà per la tormentata cantante, attivista e provocatrice irlandese Sinéad O’Connor. La sua figura risulta sconosciuta alle nuove generazioni, ma le attiviste pop dell’ultimo decennio, le manifestazioni per il diritto all’aborto e il movimento #MeToo e i recenti episodi che hanno screditato la Chiesa cattolica risentono della sua lontana influenza. Le prime tappe di questa triste vicenda sono raccontate nel documentario Nothing Compares, come un pubblico martirio davvero esagerato che ha distrutto per sempre la sua carriera e l’ha condannata ad una vita infelice, fatta di esaurimenti nervosi, annunci di overdose e minacce di suicidio. Infatti la dissoluzione della carriera ha sicuramente acuito i suoi problemi mentali, che derivano da un’infanzia difficile e traumatica. Sinéad stessa dice di aver ricevuto una educazione “stupidamente religiosa”, in un ambiente pervaso da una cultura irlandese rigida e sessista. Nonostante le contraddizioni del suo carattere, sia timido che ribelle, e il suo aspetto per niente conciliante (la testa rasata), il pubblico apprezzava il suo talento. Nel 1990 con la cover di Nothing Compares 2 U di Prince diventa una star richiestissima. Ma a Sinéad non è mai importato del pop mainstream, e lo ha dimostrato ampiamente. L’episodio che la porta alla rovina è la foto del Papa Giovanni Paolo II strappata in diretta televisiva al Saturday night live nel 1992. Da lì solo odio nei suoi confronti, come dimostra il video della sua performance al Madison Square Garden per il trentesimo anniversario di Bob Dylan.Una folla di ventimila persone la sommerge di fischi e lei, all’inizio cerca di mantenere la calma, ma poi reagisce cantando (con la sua voce rabbiosa) War di Bob Marley (la stessa proposta al SNL quando aveva strappato la foto del Papa). Onore a una vera ribelle: perchè non si è tirata indietro e ha venduto cara la sua pelle.

 

Every Breaking Wave è il secondo singolo estratto dal tredicesimo album in studio (Songs of Innocence, pubblicato il 9 settembre 2014) del gruppo musicale irlandese U2. La canzone è una classica ballad à-la-U2 con una progressione che ricorda in maniera impressionante nella prima parte il successo del 1987 With or Without You. È un brano riflessivo e pieno di speranza che parla di come affrontare le lotte e le incertezze della vita, attraverso la metafora del mare e delle sue onde in continuo cambiamento. Ogni onda che si infrange ci ricorda che, per quanto ci si sforzi, la vita è piena di successi e fallimenti, ma è necessario accettare le difficoltà per trovare la vera forza e la crescita. Il videoclip è la versione ridotta di un cortometraggio di 13 minuti dal titolo omonimo. Il tema è il conflitto nordirlandese degli anni ’80 e tratta di una coppia di giovani che si amano ma appartengono ai due lati opposti del conflitto. Gli U2 sono stati la rock-band più famosa degli anni ’80 e a quel periodo appartengono i loro più grandi successi come The Joshua Tree (di cui si è festeggiato il trentennale nel 2017). Tuttavia rimane nella storia anche la loro svolta elettronica negli anni novanta (complice Brian Eno) con Achtung Baby. Quest’ultimo album sarà al centro della annunciata residency all’MSG Sphere di Las Vegas del prossimo autunno. Del resto il 17 marzo (giorno di San Patrizio, protettore dell’Irlanda) sono usciti il loro ultimo album Songs of Surrender (rivisitazione acustica di 40 loro canzoni, forse come completamento sonoro del libro biografico di Bono Surrender:40 canzoni,una storia, uscito quattro mesi fa) e A Sort of Homecoming (più che un documentario un’indagine sulla natura folk degli U2 visti attraverso gli occhi di David Letterman, re dei late-night talk show americani). Dunque gli U2, formatisi negli anni settanta e ancora molto attivi, sono una band leggendaria che ha fatto la storia con le sue canzoni e fin dagli esordi ha improntato buona parte della sua attività artistica sull’impegno politico (questione irlandese e lotta per i diritti civili). Infatti tra le 40 canzoni rivisitate c’è Walk On, all’epoca dedicata ad Aung San Suu Kyi e la sua lotta per il Myanmar, ora riferita a quello che sta succedendo in Ucraina.

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