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SCIMMIE ARTICHE Qualsiasi cosa la gente dica…

A cura di Riccardo Gramazio_Ricky Rage

Nel gennaio del 2006 viene pubblicato un disco davvero importante, un disco da Guinness dei Primati. Esatto, perché con 364.000 copie vendute in una sola settimana, Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not, il meraviglioso debutto degli Arctic Monkeys, si prende la scena indie rock mondiale. La casa discografica è la londinese e indipendente Domino Records, da sempre ben disposta ad assoldare realtà potenzialmente forti del circuito musicale britannico o statunitense. Giusto ricordare, per esempio, band come i Franz Ferdinand o i The Kills.
Che la band capitanata dal cantante e chitarrista classe ‘86 Alex Turner abbia una marcia diversa nonostante la giovanissima età lo si capisce subito. Gli Arctic Monkeys da Sheffield infatti, dopo aver studiato in proprio i canzonieri degli Oasis, eseguito dal vivo pezzi storici come I’m Only Sleeping dei Beatles, messo a punto la formazione e sfruttato il web per farsi conoscere (il passa parola è incredibile), decidono di pubblicare con la Bang Bang Recording, etichetta da loro stessi fondata, le prime vere cose. Il risultato è Five Minutes With Arctic Monkeys (che in realtà dura un minuto in più) del 2005, che presenta per la prima volta due dei pezzi più celebri delle scimmie artiche: Fake Tales Of San Francisco (questa è la mia preferita in assoluto, un pezzone capace sempre di gasare) e From The Ritz To The Rubble. Entrambe le canzoni faranno ovviamente parte della tracklist di Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not, rispettivamente terza e dodicesima in scaletta.
Esistono appena duemila copie fisiche del lavoro, diversamente divise in cd e in vinile. Inutile dire che Five Minutes With Arctic Monkeys, oltre a essere molto raro e richiestissimo, è presente qua e là nei vari negozi online a prezzi esorbitanti. Se siete collezionisti tosti, beh, incrociate le dita e preparatevi a tirar fuori una buona somma…
Le due tracce dell’Ep fanno crescere ulteriormente e la popolarità degli Arctic Monkeys, che belli carichi entrano in studio per incidere l’esplosivo primo album, una delle opere più rappresentative degli anni 2000.
La stampa inglese, parecchio eccitata, accoglie alla grandissima questa nuova produzione, alimentando e non poco la forza della band. Come dire, cose che non si leggevano o dicevano dai tempi degli Oasis o dei Blur. Gli Arctic Monkeys sono, come piace dire agli inglesi, i salvatori della musica rock, un vero caso mediatico, partito dalla rete e cresciuto a dismisura in pochissimo tempo.
Alex Turner, il chitarrista Jamie Cook, il bassista Andy Nicholson e il batterista Matt Helders fanno ascoltare un disco divertente, fresco e di grande impatto. Le idee sonore sono un miscuglio interessante e attraente di garage rock, indie e se vogliamo punk, creato su misura per raccontare senza troppi giri di parole le vicende dei giovani di Sheffield. I riff fragorosi, veloci e accattivanti risultano quindi perfetti per accompagnare storie notturne e caotiche non proprio simpatiche, storie estrapolate dalla noia della periferia, storie che insieme costituiscono una sorta di concept generazionale. Lo stile è pienamente british, quasi da black comedy, irriverente e persino maleducato. Roba, questa, che a me garba parecchio e da sempre. D’altronde, la famosissima copertina sintetizza più o meno tutto il contenuto dell’album. A propoposito, sapete chi è quello più o meno in botta con la sigaretta tra le labbra? Trattasi del musicista Chris McClure (leader poi dei The Violet May), un tizio con un solo semplicissimo compito, quello di spendere in alcolici e in boh le 70 fottute sterline pagate dalla band per la posa. Scattata al Korova Bar di Liverpool, la foto spiega molto bene come ci si sente dopo la baldoria notturna. La faccia di Chris finisce un po’ ovunque e cattura l’attenzione.
Ebbene sì, gli Arctic Monkeys non lasciano nulla al caso, si prendono tutto e lo fanno a modo loro.
Giusto dire che avere un frontman come il carismatico Turner rende poi il discorso leggermente più semplice: timbro vocale, estensione da baritono, talento compositivo e metodo chitarristico tratteggiano a conti fatti il profilo perfetto della rockstar moderna, dell’icona figlia degli anni ‘00. Non a caso e tra le altre cose, nel 2005, quindi ancor prima dell’uscita ufficiale dell’album, la rivista New Musical Express piazza il cantante al primo posto nella classifica degli uomini più cool del mondo. Dietro di lui, per intenderci, personaggi chiacchierati, molto chiacchierati, come Liam Gallagher, Pete Doherty o Bob Dylan. Non male per un tizio che ha appena iniziato la propria avventura.
Sapete che vi dico? Classifiche a parte, che in realtà lasciano il tempo che trovano, Alex Turner è da considerare davvero parecchio cool.
Il 2006 è l’anno degli Arctic Monkeys. E Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not è un discone.

 

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